«Silvio ultimo caudillo, ma democratico»
Lo scrittore Vargas Llosa: «Ha saputo unificare la destra. La sinistra? È anacronistica»
«all'estero si tende a sottovalutarlo. ha dimostrato un talento politico eccezionale»
MADRID—Mario Vargas Llosa, Grande Vecchio della letteratura mondiale e del liberalismo, sta lavorando al prossimo romanzo, ambientato tra l’Africa e Londra, al tempo del genocidio rimosso dei belgi in Congo. Sul tavolo ha i giornali europei che danno conto del nuovo partito fondato da Silvio Berlusconi. L’occasione per una disamina politico- culturale sull’Italia e non solo, nell’anno della crisi.
Qual è il suo giudizio sulla figura di Berlusconi? È davvero un uomo di destra? «Berlusconi è un caudillo. Una figura scomparsa da tempo, di cui nessuno si attendeva il ritorno sulla scena della storia. Non solo: Berlusconi è un caudillo sui generis. Un caudillo democratico. Non ha nulla dell’autoritarismo di Mussolini. Il suo tratto pubblico è semmai l’ilarità, la battuta, la barzelletta. È un istrione che a volte si presenta come un clown. Ma gli va riconosciuto uno straordinario olfatto politico. Così come bisogna riconoscere che si è mosso dentro i parametri democratici; centrando i suoi obiettivi. Ha unificato per la prima volta la destra, da sempre divisa in fazioni che non si riconoscevano le une con le altre. E ha sconfitto più volte la sinistra italiana, vale a dire la più poderosa dell’Occidente».
A dire il vero, la sinistra italiana di sconfitte ne ha collezionate molte.
«Ma ha sempre esercitato un’egemonia culturale. Aveva dalla sua parte alcuni tra gli intellettuali e gli artisti più importanti d’Europa. E, nel ’94, pareva sul punto di prendere il potere. Ma sulla sua strada ha incontrato Berlusconi». Lo storico Piero Melograni sostiene che Berlusconi è l’uomo che chiude la Guerra fredda italiana, con la sconfitta definitiva del comunismo nostrano, e chiude la rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite. Condivide? «Sì. Guardi, come avrà capito, a me Berlusconi non è simpatico...»
L’ha mai incontrato?
«Una volta sola, al matrimonio tra Agag e la figlia di Aznar, ma non ci siamo parlati. All’estero si tende a sottovalutarlo: pare impossibile che un personaggio superficiale, poco colto, che offre poche credenziali sul piano etico, abbia governato per tre volte un paese sofisticato come l’Italia. All’inizio pareva un opportunista, mosso dall’istinto del potere e dell’interesse personale. Però devo riconoscere che Berlusconi ha dimostrato un talento politico eccezionale. I suoi governi hanno garantito all’Italia ordine, stabilità, continuità. E hanno mandato all’opposizione una sinistra che avrebbe fatto del male al Paese».
Il centrosinistra si è unificato nel Partito democratico, ma non vede crescere i propri voti. È un esperimento già fallito?
«La sinistra italiana è un anacronismo. Non si è accorta di vivere in un mondo completamente mutato. È vecchia. I suoi uomini sono sempre gli stessi. Le sue idee sono state pensate in tempi remoti. Ha bisogno di un rinnovamento profondo. La sua debolezza è un guaio per Berlusconi e per il Paese. Senza un’opposizione forte, la democrazia è in grave pericolo».
I critici di Berlusconi ricordano che non ha ancora sciolto il conflitto di interessi, che fa di lui l’unico capo di governo a possedere tv e giornali. I suoi difensori sostengono che il conflitto è stato sanato dal voto degli elettori. Lei cosa ne pensa?
«La cosa più grave non è il conflitto di interessi, ma il fatto che agli italiani palesemente non importi nulla. Berlusconi non sarebbe lì senza le sue tv. La sua è la vittoria della cultura dello spettacolo; anzi, lui stesso è lo spettacolo. Perciò non venderà mai. Anche questo è un segno dell’involuzione etica della democrazia, evidente in tutto il mondo. L’Italia ha anticipato una questione che ci riguarda tutti».
Ora che è nato un partito dal 40%, come in Italia non si vedeva dai tempi della Dc, il berlusconismo sopravvivrà a Berlusconi?
«No. I partiti carismatici sono effimeri: non stanno insieme senza il carisma del leader. Il Pdl è come una bouillabaisse: saporita, ma eterogenea. Ci sono i conservatori e i riformatori, gli statalisti e i liberali, i cattolici e i radicali, gli uomini della vecchia destra e gli ex socialisti. Berlusconi non ha luogotenenti né delfini, né li può avere. Lui è irripetibile. Autoreferenziale, perché il suo unico riferimento è se stesso. Solo un Berlusconi jr potrebbe succedere al padre. Ma l’Italia non è la Corea del Nord».
Come valuta l’evoluzione dell’altro socio del Pdl, Alleanza nazionale, il partito erede del postfascismo?
«Stimo Fini. Una persona seria. È stato bravo a portare il suo partito dal fascismo a una destra moderna. Ma è un hombre de gabinete. Un uomo di apparato. Non sarà il successore di Berlusconi, e il primo a saperlo è lui».
Il Pdl è alleato con la Lega Nord. Come le pare Bossi?
«A differenza di Fini, Bossi ha carisma. Ma per ovvi motivi non sarà mai un leader nazionale. La sua è una forza di rottura, pericolosa in uno Stato dalla storia breve come l’Italia. Però la prima vittima di Bossi è la sinistra. Perché la Lega ha un elettorato popolare».
Cosa pensa della nuova destra che si ritrova nel partito popolare europeo? Sarkozy le piace?
«È un personaggio carismatico, con una vena populista, peraltro radicata in Francia fin da De Gaulle e Mitterrand. Ma è dinamico, affronta i problemi, ottiene risultati. E sta integrando la Francia nel resto del mondo, ricuce con l’America, torna nella Nato».
E Angela Merkel?
«Magnifica. Il leader europeo più sensato. Non è carismatica, il che per me rappresenta una qualità, perché significa che non è pericolosa. È invece democratica, diligente, flessibile. Sa lavorare in squadra. Era molto che la Germania non aveva una guida così».
A Londra voterebbe Gordon Brown o Cameron?
«A Londra sono maturi i tempi per l’alternanza. La maggioranza degli inglesi vuole Cameron, e credo l’avrà».
In Spagna che succede? Zapatero è in difficoltà?
«Grave difficoltà. È andato incontro spensierato al ciclone senza vedere le nuvole che si addensavano sulla sua testa. La crisi in Spagna è a uno stadio molto avanzato, e le prossime elezioni europee —le più importanti della storia non solo a Madrid, perché arrivano in un momento topico — potrebbero sancire il sorpasso dei popolari. L’unica nota positiva per Zapatero è che, per la prima volta, i partiti costituzionali superano i nazionalisti e sono maggioranza nel Paese basco».
Il leader del Pp Rajoy le piace?O era meglio Aznar?
«Rajoy è migliore come uomo di governo che come uomo da campagna elettorale, e potrebbe avere presto l’occasione per dimostrarlo».
Qual è l’impatto della crisi economica sulle culture politiche? La preoccupa questo passaggio brusco dal liberismo allo statalismo?
«Mi preoccupa molto. La storia recente ci insegna dove porta, in tempi lunghi o brevi, l’intervento statale nell’economia: alla rovina delle nazioni. Non è il liberalismo a essere andato in crisi; sono le istituzioni finanziarie, il loro funzionamento, le loro regole o la loro mancanza di regole, i loro tanti piccoli Madoff. Pensare di riempire questo vuoto con lo Stato sarebbe un rimedio peggiore del male».
Tutti i governi però hanno predisposto un piano di intervento.
«Temo si stia gettando il denaro nella fornace della crisi, con il risultato di sottrarre banche e imprese alle loro responsabilità. La crisi può anche essere un’utile purga. Una catarsi. Purché salvi la parte buona del mercato e rigeneri le istituzioni liberali, anziché soffocarle con il ritorno al passato».
Che impressione le fa Obama?
«Obama è molto positivo per gli Stati Uniti, che hanno pagato un prezzo terribile agli anni di Bush e sono arrivati alla fine del suo secondo mandato con il morale e il tasso di popolarità nel mondo più bassi che mai. Obama ha l’enorme merito di portare con sé una carica di entusiasmo e idealismo. La vera novità non è il fatto che sia nero; è il fatto che sia un intellettuale. Genere mai amato negli States».
Come le sembrano le sue prime mosse?
«Obama ha un compito terribile, ma sulla crisi Usa non sono pessimista. Gli americani possono uscirne prima del previsto, ne stanno già uscendo. Certo dovranno organizzare diversamente le loro vite, risparmiare di più, amputare le escrescenze. Ma mi pare che il patrimonio di idee e di valori dell’America sia ancora saldo».
In America Latina sembra prevalere un nuovo populismo, da Chavez a Morales. Che effetto le fa?
«Distinguo. C’è un populismo totale, anacronistico, antidemocratico che è quello di Chavez, che porta il Venezuela verso il modello cubano: miseria, corruzione, dittatura. Anche se i cinque milioni di voti contro di lui nell’ultimo plebiscito mi fanno sperare. Ma in America Latina c’è anche una sinistra democratica che ieri non c’era. Lula ad esempio ha accettato l’economia di mercato. Il Cile ha una sinistra di governo moderna e liberale. L’Uruguay è una grande sorpresa, i tupamaros che un tempo erano estremisti hanno saputo rinnovarsi».
E la presidenta Kirchner?
«Un desastro total. L’Argentina sta conoscendo la peggior forma di peronismo: populismo e anarchia. Temo sia un paese incurabile. La forza oscura, che mezzo secolo fa prese a trascinare una terra tra le più ricche del mondo verso la rovina, è ancora in moto».
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