Friday, January 18, 2008

LA SENTENZA A pALERMO. Lui: «resto presidente della regione sicilia»

Talpe Dda, Cuffaro condannato a 5 anni

Favoreggiamento e rivelazioni di segreti d'ufficio senza aggravante di aver favorito Cosa Nostra


PALERMO - Il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro - imputato di favoreggiamento aggravato alla mafia e violazione di segreto d'ufficio - è stato condannato a cinque anni di reclusione per favoreggiamento semplice senza l'aggravante di aver favorito Cosa Nostra e per violazione del segreto istruttorio nel processo di primo grado sulle Talpe alla Procura di Palermo. Cuffaro è stato anche condannato all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione che però scatterà solo in caso di conferma del giudizio anche in appello. Prima della lettura della sentenza Cuffaro, presente in aula, aveva detto: «Sono rispettoso delle istituzioni».

«RESTO PRESIDENTE» - Lo scorso 15 ottobre, la procura palermitana aveva chiesto otto anni di reclusione per Cuffaro, che ha sempre respinto ogni addebito. La sentenza è arrivata dopo 56 ore di camera di consiglio. Cuffaro è stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ma, annunciando il ricorso in appello contro la sentenza, ha annunciato ai giornalisti che domattina tornerà al suo lavoro. «Sono molto confortato da questa sentenza - ha detto Cuffaro - perché ho sempre saputo di non avere favorito la mafia e questa sentenza me ne dà atto». «Sapete tutti, l'ho detto da un anno che mi sarei dimesso soltanto se ci fosse stata l'aggravante - ha aggiunto - Da domani mattina ricomincerò a lavorare per la Sicilia perché il governo (siciliano) non può ancora restare in questo stato di impasse», ha aggiunto il governatore. «Grazie a tutti i siciliani che mi hanno sostenuto» ha concluso.

150 UDIENZE - Il processo, iniziato nel 2005 e durato poco meno di tre anni, ha visto svolgersi 150 udienze e l'impiego di oltre 200 testimoni di accusa e difesa, per un totale di circa 200.000 pagine di verbali. Nel processo, oltre a Cuffaro, sono imputate 13 persone. A Cuffaro la procura contesta il reato di violazione del segreto istruttorio accusandolo di aver fatto sapere attraverso un suo amico, Domenico Miceli, al boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro che nella sua abitazione erano state installate delle microspie da parte dei carabinieri. La procura sostiene anche che Cuffaro si sarebbe incontrato nel retrobottega di un negozio di Bagheria con Michele Aiello, imputato nello stesso processo con l'accusa di associazione mafiosa e ritenuto un prestanome del boss Bernardo Provenzano. La versione di Cuffaro è che l'incontro con Aiello riguardava il tariffario regionale, in quanto Aiello all'epoca era proprietario della clinica "Villa Santa Teresa" di Bagheria, una delle strutture all'avanguardia per la cura dei tumori.

I CAPI CONTESTATI - Nel processo alle «talpe» sono stati contestati al Governatore quattro capi di imputazione: due per il favoreggiamento personale e altri due per la rivelazione e l'utilizzazione di segreti d'ufficio, tutti con l'aggravante di avere favorito la mafia che però non è stata riconosciuta dai giudici della terza sezione del tribunale. Per l'accusa, il Governatore avrebbe appreso nel 2001 dall' ex maresciallo dei carabinieri, Antonio Borzacchelli, poi eletto deputato regionale, dell'esistenza di microspie sistemate dagli investigatori del Ros nell'abitazione del boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. Il salotto del boss, già condannato all'epoca per mafia, era frequentato da un amico di Cuffaro, il medico Domenico Miceli, ex assessore comunale alla sanità, anche lui Udc, condannato nel dicembre 2006 a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli inquirenti sostengono che Borzacchelli avrebbe avvisato Cuffaro dell'esistenza delle cimici a casa Guttadauro e che il presidente della Regione lo avrebbe a sua volta comunicato a Miceli. In questo modo il boss di Brancaccio avrebbe scoperto le microspie, bruciando l'inchiesta.

TUTTE LE CONDANNE - Otre a Cuffaro, nell'ambito del processo per le talpe alla Procura di Palermo, sono state condannate altre persone: 14 anni a Michele Aiello, il «re Mida» della sanità siciliana; 7 anni a Giorgio Riolo, maresciallo del Ros; 4 anni e 6 mesi a Lorenzo Iannì, dipendente Ausl 6, ex dirigente del distretto di Bagheria; 4 anni e sei mesi ad Aldo Carcione, radiologo e socio di Aiello; tre anni a Giacomo Venezia; due anni rispettivamente ad Adriana La Barbera, dipendente Ausl6, e Angelo Calaciura, piccolo imprenditore; un anno a Roberto Rotondo, dipendente e collaboratore di Aiello; 9 mesi ciascuno a Salvatore Prestigiacomo, impiegato Ausl 6, e Michele Giambruno, dipendente Ausl 6; sei mesi a Giuseppa Antonella Buttitta, ispettore di polizia municipale, ex assistende del pm Domenico Gozzo. Assolto Domenico Oliveri, radiologo, dipendente delle cliniche di Aiello: per lui erano stati richiesti 4 anni e sei mesi.
I giudici della terza sezione penale del tribunale di Palermo hanno poi condannato le società Diagnostica per Immagini 'Villa Santa Teresa' e Atm, Alte tecnologie medicali, al pagamento di una multa di 600mila euro la prima e 400mila euro la seconda. Inoltre sono stati dichiarati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale durante l'espiazione della pena, Michele Aiello, Giorgio Riolo e Salvatore Cuffaro. Al re Mida della Sanita siciliana è stata applicata la libertà vigilata per tre anni. Quest'ultimo è stato poi condannato ad un risarcimento di 3 milioni di euro nei confronti del comune di Bagheria, che si era costituito parte civile. Le motivazioni della sentenza verranno depositate entro 90 giorni.

BANCO DI SICILIA - In questi giorni Cuffaro è anche al centro della vicenda delle nomine dei vertici del Banco di Sicilia, controllata al 100% da Unicredit. Ai primi di gennaio il cda di Banco di Sicilia, riunitosi sotto la presidenza di Salvatore Mancuso e alla presenza dei soli rappresentati siciliani più l'amministratore delegato Beniamino Anselmi, aveva nominato Giuseppe Lopes direttore generale, nomina che si sovrapponeva a quella indicata da UniCredit di Roberto Bertola. Martedì scorso UniCredit ha raggiunto un accordo con la Regione Sicilia e la Fondazione BdS sul futuro della banca siciliana: l'accordo prevede tra l'altro che venga riscritta la convenzione tra UniCredit e la Regione Sicilia che manterrà la facoltà di indicare propri rappresentanti nel cda del Banco di Sicilia.


18 gennaio 2008

Bubble economics



The Fed's relationship with Wall Street has led to a high-risk policy that is blowing up a recession

Larry Elliott
Friday January 18, 2008
The Guardian


Six months ago the Federal Reserve, the US central bank, was supremely relaxed about the American economy. It had raised interest rates 17 times in succession to puncture a bubble in the US housing market but was adamant that the downturn in real estate was contained.

That was then. Containment has become contagion, with fears that the malaise from the housing market will not only push the world's biggest economy into recession but will turn it into a carbon copy of 1990s Japan, a country that took more than a decade to recover from the speculation mania of the late 1980s. And arguably still hasn't.

The Fed is doing its best to give the impression that it is still in control of the US economy, but its reassurances are as hollow as that given by Herbert Hoover - on the weekend after Black Thursday in October 1929 - that the fundamentals of the economy were sound. If anybody is running economic policy, it is the big banks and investment houses on Wall Street, which are being bled dry by the losses they have sustained as a result of imprudent lending to borrowers with poor track records.

Two of the biggest banks - Citigroup and Merrill Lynch - announced massive writedowns (decreasing the book value of their assets) this week, and had to be bailed out by foreign-owned sovereign wealth funds - the state-owned investment arms set up by countries like China, Singapore and Saudi Arabia, who run big trade surpluses.

Wall Street is telling the Fed it will only be able to staunch the losses from the subprime market when the recession in house prices is brought to an end. That, on present evidence, will take some doing, but in an election year, the Fed will make the best of a bad job.

The chairman of the Fed is Ben Bernanke, a former academic who had the unenviable task of taking over from Alan Greenspan - the man primarily responsible for the current crisis. Greenspan, always accommodating to the needs of Wall Street, worked on the principle that the best way to cope with the collapse of one bubble was to blow another one. In 2003, the Fed cut interest rates to 1%, prompting the biggest housing boom in US history. Loans were extended to subprime borrowers in the belief that the boom would go on for ever, and the loans were bundled up into big packages and sold off to financial houses around the world.

The new chairman arrived in office desperate to prove that he would be no pushover. That, in retrospect, was in a mistake. Having been left too low for too long, rates were left too high for too long, resulting in a slowdown in the real-estate market turning into a slump. Instead of making big profits on subprime mortgages, financial markets were left staring at huge and unquantifiable losses.

Bernanke, who made his academic with a study of the Depression and wrote a paper earlier this decade on how America could avoid being the new Japan, rapidly ditched the donnish approach. His promise of "substantial action" yesterday stems from his determination not to repeat Japan's error in cutting rates too slowly in the early 1990s. The buzz on Wall Street now is that if pushed hard enough, the Fed might eventually cut rates back to 1%, despite the risk that it could trigger a collapse in the dollar, add to inflationary pressures and create the conditions for another bubble.

As things stand, it is not too late to prevent the US becoming the new Japan, but it is certainly too late to prevent a long, painful recession in the housing market that will probably last for the rest of this presidential term and the next. And before anybody in the UK is tempted to feel smug, it's worth pointing out that the British housing market is also a bubble just waiting to be popped.

larry.elliott@guardian.co.uk

5.30pm GMT

Bush calls for tax breaks to avoid recession

This article was first published on guardian.co.uk on Friday January 18 2008. It was last updated at 18:08 on January 18 2008.

The US president, George Bush, today called for big tax breaks to stave off recession as the American economy struggled to shake off the effects of a housing crisis.

Bush proposed a stimulus package of about $145bn (£74bn) – about 1% of gross domestic product – at a time when the administration is increasingly worried about the knock-on effects of a housing slump and a tightening of credit markets.

"Letting Americans keep more of their money should increase consumer spending," Bush said.

Bush, who acknowledged the risk of a downturn, said Congress should try to draft legislation as soon as possible to "keep our economy growing and creating jobs".

The president called for "direct and rapid" tax relief for US consumers and businesses, saying that such a plan was the country's "most pressing economic priority".

Returning money to consumers and firms would be "a shot in the arm" for the economy," he said.

Bush, the chairman of the Federal Reserve, Ben Bernanke, and senior congressional leaders yesterday called for Washington to act quickly to boost the economy.

Bernanke said the Fed was ready "to take substantive additional action as needed to support growth", but his remarks failed to stem another slide on Wall Street. The Dow Jones industrial average has now fallen more than1,000 points since the start of the year.

The Dow was on the slide again today, unimpressed by Bush's talk of tax relief, which some commentators fear will stimulate another economic bubble. In lunchtime trading, the index was down almost 80 points at 12,083.

Déjà vu



El sol se fue volteando sobre las cosas y les devolvió su forma. La tierra en ruinas estaba frente a él, vacía. El calor caldeaba su cuerpo. Sus ojos apenas se movían; saltaban de un recuerdo a otro, desdibujando el presente. De pronto su corazón se detenía y parecía como si también se detuvieran el tiempo y el aire de la vida.

"Con tal de que no sea una nueva noche", pensaba él.

Porque tenía miedo de las noches que le llenaban de fantasmas. De eso tenía miedo.

...

Después de unos cuantos pasos cayó, suplicando por dentro; pero sin decir una sola palabra. Dio un golpe seco contra la tierra y se fue desmoronando como si fuera un montón de piedras.

Pedro Páramo (Juan Rulfo).










http://arts.independent.co.uk/books/features/article3326597.ece

Imre Kertész: Memoirs of a survivor

Imre Kertész came back from Auschwitz, endured Stalinism and years of neglect in Hungary – and then won the Nobel Prize. Tibor fischer meets him in Budapest

Published: 11 January 2008

'Everyone asks me that," replies Imre Kertész when I ask, isn't it ironic that he spends so much time in Berlin? "It's not ironic, because it was in Germany that I made an impact as a writer, where my book was understood and published. I felt I could say something. I could do something. And anyway it was here, not Germany, that I first experienced fascism."

...



Dedicado a “La Quina”.



El mal tiempo ha desplazado al “inusual” clima templado en el sureste…Inglés. Rachas de intensos vientos se intercalan con copiosas lluvias que emPAPAn nuestras “APRETADITAS agendas”. Más tarde, el insoportable frío no nos permite reposo alguno. Sin embargo, estas “inconveniencias meteorológicas” son nimias, al compararlas con el “oportuno” disparo de nieve, que nos aguarda taciturno y paciente como pocos. El mismo que probablemente sea solidario cómplice de sus “traviesos” sueños allá abajo, al otro lado del charco.



Mi porta-CONTENEDORES se desplaza sobre aguas tranquilas últimamente. Correcciones, correcciones, y más correcciones, consumen mis neuronas sin MISERICORDIA. Por cierto, me halaga sobremanera su persistencia para que regrese a México en menos que cante un gallo. Espero (que) la bienVENIDA sea tan entre AMIGOs como siempre. No os desespereis, voy a volver PRESTO a mi latifundio, perdón, a mi terruño, y se las voy a agarrar desprevenidos, que ni lo van a sentir, ya lo verán. Ustedes mantengan el “ojo” PELON.



Gracias a Dios que tengo a la PAM. Ella siempre me mantiene más que informado de lo que sucede en el “otro mundo”. Recién me platicó que todavía no terminan con la comedia de la familia real Británica. Que si el bodyguard guarda una “cosita” PICANTE; que si la progenitora dice que en realidad la Diana no fue más que una ho, quesque el “amante secreto” Paki, y muchísimos chismes más que ya se me olvidaron. Pero uno de ellos si me deja HELADO, me explica que según hay una cartas de la bitch, sorry, la princesa (esta no era del Pacífico; por cierto, me informan mis “fuentes confidenciales”, (que) “ella” ya ha tomado el “timón” en la Tía Juana), que dan cuenta puntual de todo lo que habría de suceder en París. ¡Yaaa! ¿Apoco sí, Pam? ¿No me estás “choreando”? Te aprovechas nomás porque no veo la telera ni de chiste.



El ex-Soviético es menos disperso, el bato. El sólo tiene dos temas recurrentes: las féminas y el cambio climático. Por ello me sorprende que durante la comida me pregunte por el área de estudios de otro paisa que recién llegó al pisito de junto. Le contesto que estudia Desarrollo. Se me queda viendo con ojos de PISTOLA, y me dice: ¿porqué hay tantos estudiando Desarrollo? ¿Apoco si son necesarios? ¿Pues qué hacen para que haya muchos en la uni? Le intento bajar un poco el coraje, y le digo que “algunos de ellos” van a terminar decidiendo cómo se distribuye “la pasta”, bien que se lo avisé también con mucha anticipación a “la semita” cuándo me preguntó lo mismo. A ella textualmente le dije: “Míralos bien amiga, porque ellos van a terminar gobernando tu país”. No me hizo mucho caso y ya ven los resultados.



Mi cuate de pisito insiste en su cuestionamiento. ¿Pa’ qué necesitamos tener a un “experto en desarrollo” sobre nosotros? Me dice que si apoco estamos tan güeyes pa’ no saber como manejar los dineros. Hago esfuerzos Titánicos para explicarle que mientras no encontremos otra alternativa, como en los “viejos tiempos”, dos sistemas se están disputando la supremacía en el planeta. Uno de ellos está contra las cuerdas pero se niega a aceptar la paliza que le están recetando (sin pseudoefedrina, please). Y el otro que en estos días es más bien un híbrido del “antigüito”, pero (que) conserva ciertas características del mismo: como son las inversiones a largo plazo, a riesgo de aceptar pérdidas durante los primeros años del “plan MAESTRO” (ANATEMA para los apóstoles del libre comercio) . Como yo fuí el alumno más avezado de un costal de mañas REGIO, aprovecho para traer a COLAción el ejemplo de los “tigres asiáticos” que asignaron un buen del PIB en Ciencia y Tecnología (igualito que el CONGALcyt). No quiero dejarlos en “Cuernavaca” por ahora, por eso no hablamos del porcentaje que se asigna de NUESTRO presupuesto a EDUCACION como un todo, no vaya a pegar EL BRINCO, la mayestra; ¡ah, no! “La Chepina”, ¿’edá?



El patio TRASERO de MI CASA deber ser un desastre, porque andan moviéndolo todo pa’ ver si así pueden ocultarlo un poco. Para continuar en el mismo Tenor del resto de la orquesta, el nuevo EJECUTANTE (que sólo es un cambio de TOSCA mano por guante FINO) comienza su partitura con el PIE derecho. ¿Lo dijo alguién por ahí o estaré soñando de nueX? La designación obedece al DESEO de aplicar, ahora sí, “las reformas estructurales” necesarias sin que nadie se oponga. ¡Ya Basta! … de caprichitos. No hay diálogo con EL PUEBLO. Cero tolerancia a los del EPR. ¡Ah, caray! ¡Qué no eran los oXtros el brazo ARMADO de los amarillos?



Comp@s, no es por perturbar sus “manos limpias”, perdón, sus conciencias sin mancha; me temo que es hora de aplicar técnicas MASTURBATORIAS para resolver tan complicadas ecuaciones. Miren astedes: el Kerry ahora respalda al Obama, que vuelve a ganar otras primarias, ejem, eso no estaba en el “libreto” del establishment, ¿o sí? Las casas de apuestas, !y dale!, bolsas de valores de todo el mundo van en francas PICADITAS (con salsa de la VERDE, please); siguen INYECTANDO un lanonón al moribundo ese para ver si mantienen sus signos vitales, ¡ya dejénlo descansar en paX, caraXo!, y parece que es cosa de nada para que exhiban en marquesinas a “Doña depre”. ¿Debemos empezar a llamarlo “efecto PERRO CALIENTE”? ¡Andan retenerviosos, tú! Mientras en nuestra tierra siguen con el “cuentito” de que con un “chaleco antibalas” la hacen. Nel comp@s, no “muerdan” el anzuelo; este es un bazucazo más potente que el de aquel lejano 10 de Enero. En estos días de anheladas “reformas estrcturales”, se ha develado en forma prístina el propósito del asalto en despoblado.



Cuates, disculpen (que) interrumpa su “recreo”. Odio siquiera mencionarlo, pero quedamos en que somos críticos, ¿o no? por ello, si fueramos calificados en base a “logros”, ni modos, los oXtros nos llevan de calle. Llegó el momento de mostrar neurona contra el músCULO. Recuerden que no es sólo LENGUA lo que necesitamos, es PALABRA + ESTRATEGIA + ACCION. Hace poco estaba limpiando mi escritorio de papeles VIEJOS, no crean que se nota muy ordenado, pero “casualmente” me topé con uno de los escritos del 2006, y me acordé lo que me dijo una cuata: a veces es simbólico, M@rco. ‘Tonz, ya veo que se acerca el desquiciado Febrero y es nada pa’ que estemos en MarXo. Ojalá que ustedes tengan “memoria selectiva” y recuerden que el año pasado les propuse que organizáramos una colecta nacional, nada que ver con la fundación ¡Vamos Martha! Esta es en remembranza del Tata Michoacano, el mero bueno. Si no se acuerdan, no hay peX, me avisan y les busco el escrito. El chiste es que todos los comp@s se involucren pa’ mostrarle que no es jueguito, esa PARTE no se vende, y punto. Si hacemos esa tarea sin rayones, nos vamos a ganar una dotación completa de “Vero manitas”. AL TIEMPO.



M@rcolecta NACIONAL;

Norwich, G(reat) B(odyguard);

18/01/08



... un movimiento de masas PREVENTIVO.



P.D.GORBACHOVA. “…(Life is PEACEful there)/Go West (In the open air)/Go West (BABY, you and me)/Go West (This is our destiny)…” - Go WEST (PET shop BOYS).



Go West
Uploaded by qvortrup



P.D.PAYANa. "...You're a mystery/always runnin' wild/Like a child without a home…” – Bringinon the heartbreak (def leppard)




P.D.HERMETICA. "...Johnny take a dive with your SISTER in the RAIN / Let her talk about the things you can't explain ..." - MYSTERIOUS ways (U2).




P.D.LAGARTONA. "...Y un VIEJO me invita: “CHICA, ven a verme”/ y le digo: “no me caen los VIEJOS RABOS VERDES ..." – El Chico del Apartamento 512 (Selena).




P.D.CAPITALISTA. "...MONEY’s the matter/ if you’re in for LOVE/ you ain’t gonna get too far..." – MANeater (Hall & Oates).




PREGUNTAS SIN RESPUESTA:


¿Quién es el brazo ARMADO de Los Pitufos?




PILONA CONQUISTADA:


More fortunate in this grim business of exploitation and destruction was Hernando Cortés (1485-1547), who in February 1519 sailed from Cuba to Mexico with eleven ships carrying 700 soldiers. In Mexico he found the aztec civilisation with its capital at Tenochtitlan (on the site of what is now Mexico City). Cortés had few men and he faced thousands of strong and brave fighters. Cortés however, had horses and cannon, with the Aztecs had never seen. What’s more, the Aztecs were not united and their resistence was weakened by the early conviction that the Spaniards were gods.


Under the circumstances, the Spaniards found it possible to destroy the Aztec civilisation, enslave the Indians, and take their gold and whatever else of value they possessed. There were no qualms of conscience about such things in those days, particularly since the Spaniards had the comfortable feeling that non-Christians had no rights a Christian need respect.


Exploring the earth and the cosmos. Isaac Asimov. Penguin Books. London. 1984.




ENCORE en-la-ANCHA:


Thursday, January 17, 2008

Primera parte: el rol de la prensa

por Giulietto Chiesa*

Nuestra sociedad planetaria vive un cambio histórico sin precedentes. El control del sistema informativo masivo mundial por una elite muy poderosa. La mentira y la guerra son sus principales artimañas para llevarnos adonde no queremos ir. El control del pensamiento y de la opinión mediante la información mediática es su estrategia. El experimentado periodista italiano Giulietto Chiesa y actual eurodiputado nos explica como funciona esta maquinaria.


1. Comunicación y democracia

Son pocas las personas capaces de esbozar un cuadro de la situación actual del planeta. Pero eso no quiere decir que no haya nadie que vea dicha situación. Aquellos que disponen de información tienen más oportunidades de ver el presente, y también una parte nada desdeñable del futuro.

De todos modos, es cierto que la gran mayoría de la población, incluyendo a quienes toman decisiones y tienen cierto poder, no disponen de dichas informaciones. ¿Por qué? Porque vivimos en un sistema de comunicación, y no sólo de información, que no da noticia del mundo en que vivimos, que incluso nos proporciona una imagen completamente falseada y nos impide ver qué ocurre.

Pongamos un ejemplo. En Italia hemos conocido todos los detalles del crimen de Cogne [1], el de aquella madre que posiblemente mató a su hijo.
Fue el tema principal de la prensa escrita, de los telediarios, de los programas de cotilleo y de debates televisados. En fin, ha sido el acontecimiento más comentado, analizado y discutido por los medios de información durante los primeros meses del año 2002, y como resultado, también por el público.

¿Qué hay en juego en este tema? ¿Tiene alguna influencia sobre la «conciencia» colectiva? Sin duda alguna ejerce una fuerte influencia en numerosos aspectos. Pero lo que está en juego salta a la vista inmediatamente: al ocupar las primeras páginas de la prensa durante todo un mes, la madre de Cogne (en esto, inocente) ha eclipsado el resto del planeta. El mundo entero ha desaparecido bajo ese sudario, incluidos los bombardeos estratégicos estadounidenses que ametrallaban por entonces los valles de Afganistán.

Casos de ese tipo, incluso más sorprendentes todavía, son innumerables. Pongamos otro ejemplo para ilustrar el hecho de que todo el sistema de comunicación e información por completo está construido y funciona para burlarse de todos nosotros y llevarnos adonde «ellos» quieren.
A mediados de noviembre, cuando los tadjik llegaron a Kabul y la «conquistaron», la prensa escrita y los telediarios italianos más importantes (y también los menos importantes), la Repubblica, la Stampa, el Corriere della Sera, [los telediarios] Telegiornale1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Tg6 y Tg7 nos informaron de que las mujeres afganas se habían quitado «por fin» el burka y que los hombres se habían afeitado «por fin» las barbas.

Ahora, ya lo sabemos, esas noticias eran falsas; pero con eso no queda todo dicho. Tampoco basta con decir que los que las escribían, las enunciaban y las publicaban tendrían que haber sabido que se trataba de noticias falsas. Yo también soy periodista y me ha ocurrido haber dado una información errónea, llegar demasiado tarde a un hecho, proporcionar una interpretación falsa, pero eso ocurre una vez y le ocurre a una sola persona.

¿Es posible que el conjunto de los periódicos y los medios de comunicación de masas nos hayan dado por casualidad, por negligencia, por incomprensión, durante semanas enteras, dos noticias completamente falsas? No puede haber sido un error.
Los directores de todos los periódicos y los telediarios han movilizado a sus mejores editorialistas para que nos cuenten esas dos patrañas durante semanas enteras.

No es una casualidad. Es tan sólo la demostración más notoria de que el sistema de comunicación en su conjunto no funciona sobre la base de la verdad y de la información correcta, sino con el objetivo de difundir noticias que proporcionan una cierta interpretación de la realidad o de disimular ciertas partes de la realidad en beneficio de otras que hacen mejor servicio a los mecanismos de la dominación y que son más cómodas de contar.

Se podría argüir que siempre ha sido así. Pues bien, yo digo que no ha sido siempre así. Lo que ocurre hoy día en este terreno es muy, muy diferente de lo que ocurría en el pasado. Actualmente vivimos una nueva época histórica, nos encontramos en un viraje decisivo de la historia. Eso no ocurre a menudo. A menudo sucede que durante largos periodos de tiempo no hay grandes cambios estructurales. En primer lugar, es esencial entender esto. Y entender, en segundo lugar, que la comunicación y la información constituyen los instrumentos decisivos de esta mutación estructural histórica, constituyen los cimientos, la base.

Sin esta base, este cambio no hubiera tenido, y no tendría, tanta importancia histórica. Es importante entender todo esto, porque o bien somos capaces de hacerlo (y entonces podríamos defendernos), o bien no somos capaces, y entonces estaríamos vencidos.

Por otra parte, como dichos procesos se desarrollan tan rápidamente, hay que comprender rápido, por así decirlo. El tema de la comunicación, y el de la democracia en la comunicación, se ha vuelto esencial para cualquier lucha que intente defender la democracia de nuestro país. O somos capaz de tratarlo, o perderemos la democracia.

Una comunicación indecente (es decir, desprovista de valor intelectual, de decencia, de cultura) y manipulada (es decir, engañosa, bajo las múltiples formas que pueden inducir al error a aquellos que la reciben) priva a la población de medios intelectuales para defenderse. Un país no se puede considerar una democracia si una gran mayaría de su población está sometida a una comunicación manipulada y a una información fundamentalmente falsa.

El cuadro que tenemos ante nuestros ojos nos muestra que están a punto de robarnos la democracia, aunque no nos impidan ir a votar. Mejor; así seguiremos yendo a votar sin darnos cuenta (u olvidando) que el ejercicio de la democracia es algo muy distinto del ejercicio del voto. Este último no es más que una parte necesaria, pero no suficiente, para que se pueda calificar a una sociedad de «democrática».

Pero es evidente que el ejercicio del voto pierde todo su sentido y se convierte en un procedimiento puramente formal si los votantes ya no están cualificados para elegir, para ver la diferencia entre las variantes, entre los programas, entre las opciones. Y la información es lo que nos permite saber qué nos conviene elegir.


2. El 11 de septiembre y el fin de la soberanía nacional

Respecto al 11 de septiembre, resumiré la situación del la siguiente forma: nunca conoceremos la verdad sobre el 11 de septiembre. No la conoceremos a lo largo de los próximos cien años, como dice Noam Chomsky.

Pero de lo que podemos estar seguros por ahora, sin el menor riesgo de error, es de que la versión que nos han proporcionado es falsa. Incluso lo podemos demostrar. He reunido toda la información posible, y no ha sido fácil. No por que hubiera poca, al contrario, había mucha. Pero se encontraba enmarañada con un montón de estupideces e incoherencias tan numerosas como manifiestas. Tenía que desenmarañar el enredo de contradicciones antes de establecer unas circunstancias más bien simples.

Así fue cómo llegué a la conclusión de que el 11 de septiembre tiene causas y orígenes muy, muy diferentes a las que conocemos, las que conocéis, y que el Enemigo, el Satanás del que todos debemos protegernos no es Osama Bin Laden.
Para ser más exactos, no es sólo Osama Bin Laden.

Este último probablemente haya participado en la operación, o bien estaba informado de algún modo, directa o indirectamente. En todo caso, no lo hizo solo, no desde la gruta afgana donde se encontraba confinado, no como protagonista, sino, eventualmente, como personaje secundario. Todo lo que se ha podido reunir para encontrar una explicación indica que el enemigo no es el Islam, sino algo más complejo, tan complejo que es difícilmente explicable a los millones de individuos que están obligados a sufrir las consecuencias y que no lo podrán comprender jamás [2].

Un fenómeno típico en las operaciones de terrorismo de estado es su carácter complejo y la multiplicidad de los personajes que actúan unos a espaldas de otros pero como concertados, unidos por mil hilos y al mismo tiempo condicionados por unas estrategias que sólo unas cuantas personas en la cumbre conocen integralmente. Mientras que, por debajo de ellos, los subalternos empleados en distintos niveles tienen una idea parcial, y en el nivel más bajo, los ejecutantes lo ignoran todo respecto a los propósitos de quienes los dominan y dirigen, pero han sido convencidos de antemano de actuar por el interés exclusivo de la causa a la que sirven.

Explicar, desvelar todos los pasajes, toda la pirámide, es imposible en pocas palabras. Pero es la emoción lo que vuelve más difícil todavía hacer un análisis imparcial. Emoción alimentada por explotar y magnificar el dolor y el miedo reales. Emoción nutrida por la agresividad que se desencadena contra todos aquellos que intentan discernir lo verdadero de lo falso y a quienes acusan de blasfemos por no doblegarse a la versión oficial: la más “evidente”, la más “lógica”, la más “simple”, pero no por eso la más verdadera.

Nos han anunciado el comienzo de una guerra que se prolongaría durante toda una generación. Lo ha dicho Dick Cheney, lo ha dicho Donald Rumsfeld, lo ha declarado George Bush. Y cuando los escuché pronunciar esas frases, sentí un estremecimiento de inquietud:

¡Pero qué diablos! ¿Han perdido la cabeza? Nos están diciendo que moriremos todos en tiempo de guerra o moriremos todos en estado de guerra. Pero, ¿dónde están mirando estos señores? ¿En una bola de cristal? ¿Puede creerse alguien que para vencer a Osama Bin Laden haga falta una guerra que dure toda una generación? ¿Habéis oído alguna vez a un mando militar llamar a su pueblo a las armas anunciando previamente que no podrá poner fin a la guerra durante los treinta años siguientes?

Al inicio, esta guerra fue llamada “Justicia Infinita”. Daos cuenta de que los atributos infinitos sólo pertenecen a Dios. Así que nos enfrentamos a discursos religiosos, no políticos. Por lo que parece, estos señores piensan (o nos quieren hacer creer que piensan) que están investidos de una misión moral, de un magisterio religioso.

Aquello no fue un error, fue un lapsus. No sé cuál de las dos cosas es peor: ese lapsus o el anuncio en paralelo, repetido obsesivamente, de que la guerra iba a durar “toda una generación”. ¿Y para qué? ¿Contra quién? ¿Para qué se están preparando? ¿Por qué quieren aterrorizarnos? Como pienso que no están locos, ni borrachos, no puedo pensar otra cosa sino que están hablando en serio.

Los hechos lo confirman. Veo al presidente de los Estados Unidos (a quien a partir de ahora llamaré «Emperador sustituto»), quien a mediados de noviembre de 2001 emite un decreto anunciando: que el presidente de los Estados Unidos de América, basándose en informaciones transmitidas por sus servicios secretos, instituye tribunales militares secretos; que éstos podrán juzgar (sin obligación de presentar pruebas al acusado, y menos aún al público) a ciudadanos extranjeros capturados en cualquier lugar, incluso fuera de los Estados Unidos, que serán juzgados en cualquier lugar, incluso fuera de los Estados Unidos, sin tener derecho a elegir un abogado defensor; en fin, que podrán ser condenados sin apelación a la pena de muerte por el voto de dos jueces militares estadounidenses de los tres que constituyen dicho tribunal especial.

Yo leo los periódicos estadounidenses y reflexiono [3]. ¿Qué se le pasa al Emperador por la cabeza cuando promulga un decreto de ese tipo que significa, pura y simplemente, el fin de toda legalidad internacional salvo la del Emperador? Significa que se acabó nuestra soberanía, la soberanía de Italia, de Francia, de Alemania, de Pakistán, de Irak, de quien sea. En otras palabras: hemos perdido nuestra soberanía.

3. El enemigo chino

Si a alguien la cabe la duda de que allí, en Washington, estén de broma, que no se haga ilusiones. Intentaré ahora mostraros el cuadro que se me presenta en toda su evidencia mientras trabajaba en la redacción del libro La Guerra Infinita [4]. Hasta el momento no he encontrado a nadie que haya podido dar una reconstrucción, una interpretación a la medida de desmentir mi tesis o de refutar sus aspectos de fondo. Empecemos con una pregunta esencial. ¿Quién provoca un escándalo por atreverse a poner en cuestión lo que los bienpensantes consideran como adquirido? ¿Quién es el enemigo?

A finales del año 2002, el Pentágono difundió un documento que llevaba una firma muy importante, la de Donald Rumsfeld [5]. En 2002, Donald Rumsfeld no era todavía ministro de defensa, pero es importante no perder de vista el hecho de que desde finales de 2002 el Pentágono calculaba que en 2017 el enemigo principal de Estados Unidos sería China. Se puede preguntar, ¿por qué en 2017 precisamente?

Respuesta: porque es el resultado de los cálculos y las extrapolaciones efectuados por los centros de investigación militar. Basta con introducir en el ordenador, como seguramente lo habrán hecho los analistas del Pentágono, los datos de tendencias demográficas, económicas, tecnológicas y militares de China para constatar que si el crecimiento de China prosigue al ritmo actual de 7-8% de su producto interior bruto como media anual (como lleva haciendo durante unas dos décadas), hacia 2017 mil trescientos millones de individuos comenzarán a consumir “demasiado”. Es decir, que comenzarán a comer tanto pan como nosotros, a beber tanta agua como nosotros, a poseer tantos coches como nosotros y a consumir tanta gasolina como nosotros.

Y nosotros, los ricos (incluso si nosotros no somos todos ricos y simplemente nos hemos aprovechado de las migajas que han caído de la mesa de los ricos), que no somos más que mil millones de individuos, ya hemos dañado gravemente la naturaleza que nos rodea por el tipo de consumición que vamos arrastrando. Imaginémonos un poco lo que ocurrirá cuando mil trescientos millones de personas adicionales hagan su aparición en la economía de mercado para consumir con las mismas pretensiones de derroche que nosotros. Es evidente que no habrá sitio para ellos y para nosotros, a no ser que destruyamos el fundamento mismo de la vida sobre el planeta.

Además, ya en el día de hoy, un solo país puede tomar decisiones sin pedirle permiso a los Estados Unidos y a su presidente; ese país se llama República Popular de China. Para evitar malentendidos, hago la precisión de que no estoy emitiendo ningún juicio de valor sobre el régimen político y social que dirige China en este momento. Me limito a constatar los efectos actuales y potenciales de su desarrollo. Y si las cosas se encuentran así, no se puede eludir una pregunta: ¿quién decidirá lo que tiene derecho a consumir China? ¿Y les autorizarán a consumir tanto como nosotros?

4. La guerra de los ricos

Hay una enorme tensión social en el mundo, que ha crecido más allá de todo límite precedente, entre ricos y pobres. El número de ricos se restringe, mientras se vuelven más y más ricos, y el número de pobres aumenta, mientras se vuelven más y más pobres. Esto representa el primer elástico, un elástico terrible que durante los últimos veinte años se ha tendido más allá de lo soportable.

La diferencia entre la quinta parte de la población más rica y la de la población más pobre se ha multiplicado por cuatro puntos y medio durante los últimos veinte años. Una quinta parte sería el 20% de la población más rica y la otra quinta parte, el 20 % más pobre. Cuatro puntos y medio por año. Es decir, que la globalización estadounidense (la llamo así porque han sido los Estados Unidos quienes han determinado esta fase de una manera absolutamente predominante) ha producido una acumulación monstruosa de riqueza a manos de una cantidad ínfima de personas.

De todos modos, esto sólo representa una parte del problema. Hay una segunda parte mucho más importante. Es el hecho de que hemos llegado hoy día a los límites del desarrollo. Eso tampoco había ocurrido nunca antes. Hemos conocido un siglo y medio de desarrollo (capitalista y no capitalista) que ha tenido un fuerte crecimiento en el norte del planeta y un crecimiento débil o inexistente en el sur.

Sabemos el modo en que se ha desarrollado la humanidad y lo observamos de forma distraída. Pero es nuestra vida cotidiana la que nos tendría que hacer reaccionar. En efecto, en la historia de la humanidad nunca había ocurrido que los hombres modificaran su entorno. Nosotros hemos llegado justo a ese estado. Aquí no podemos analizar todas las causas. Una vez más, me limito a constatar hechos. El límite, el techo de este desarrollo nuestro, a penas está por encima de nuestras cabezas; si nos ponemos de puntillas, rozamos el techo.

En todo el Occidente ya estamos obligados a cerrar nuestras ciudades porque no podemos respirar. Y ahora mismo, mientras hablamos, hay mil millones de hombres que no tienen agua para beber. Los cálculos indican que dentro de diez años habrá dos mil quinientos millones de hombres que no tendrán agua para beber. La alimentación de tres de los seis mil millones de habitantes del planeta ya es un problema.

Hoy día. ¿Qué ocurrirá entonces cuando los mil trescientos millones de consumidores a los que aludíamos antes entren en escena? A esas personas que querrán consumir tanto como nosotros, ¿cómo se lo podremos negar? ¿Y a los otros tres mil millones de personas que viven con un dólar al día? ¿Y a los millones de niños que mueren de hambre? ¿Cómo les explicaremos que no tienen derecho?

¿Y qué presidente de los Estados Unidos se levantará un buen día y explicará a los doscientos cincuenta millones de estadounidenses:
«Queridos ciudadanos, no podemos seguir así. Tenemos que cambiar este sistema de vida, debemos concertar con el resto del monde algún medio para sobrevivir, tenemos que determinar con ellos nuestros niveles de consumición, nuestra calidad de vida»?

Eso supone sentarse todos juntos a la mesa (los representantes de Occidente, de Europa, de América, de China, de la India, del mundo árabe, todos juntos), sacarse las pistolas de los bolsillos y dejarlas a un lado. Supone que comencemos a conversar de igual a igual, honestamente, sobre el modo en que tenemos que vivir, salvar nuestro planeta, evitar poner en peligro nuestros glaciares, nuestros recursos; que nos pongamos a pensar en el futuro de nuestros hijos y de las generaciones por venir.

Es una de las posibilidades. Desgraciadamente, no es la más probable.
¿Cuál es la alternativa?
La guerra. Por eso vamos a la guerra.

Vamos a la guerra porque el grupo que dirige los Estados Unidos y todos los grupos dirigentes occidentales son incapaces de decir la verdad sobre la situación actual del mundo. Estos hombres no tienen ni las herramientas culturales, ni la intención de hacerlo. Quizá sea una tarea demasiado grande, demasiado difícil, incluso peligrosa, ya que si un presidente de los Estados Unidos se alzara para decir cosas de este tipo, es probable que lo mataran al día siguiente.

Existen poderes igualmente fuertes que obtusos, cuyo único interés es seguir así, como siempre lo han hecho, con la cabeza gacha, en busca de su propio provecho.
Pero hay que reconocer que en este asunto tampoco existe una alternativa cultural de peso.

El aspecto esencial es que no se trata sólo de una lucha entre los ricos y los pobres del mundo. Nos enfrentamos a una lucha completamente inédita que no puede contrastarse más con las viejas teorías del imperialismo, sino en términos más bien de supervivencia pura y simple del ser humano.

Habréis entendido que nos encontramos justo en la meollo de un viraje decisivo en la historia. Y sólo la complejidad de este terrible viraje puede explicar que el presidente de los Estados Unidos nos haya anunciado que entramos en una guerra muy larga, tan larga que durará una generación entera, incluso más. Es la guerra de los ricos contra los demás. Quieren llevarnos a esta guerra porque creen que saldrán victoriosos; no han sabido entender que ni siquiera los ricos resultarán vencedores. Una guerra sin vencedores.

Y yo os pregunto y me pregunto: ¿qué podemos hacer nosotros para no entrar en esta guerra? Personalmente no le veo sentido a ir a hacerse quemar, y menos aún, ir a hacerse quemar sin razón alguna. Porque precisamente no estoy convencido en absoluto de que esta guerra (una guerra que implica la matanza de cientos de millones de hombres) sea de ninguna utilidad para el destino de la raza humana. Y no nos ayudará tampoco a salvaguardar los valores occidentales de los que, puestos por escrito, estamos tan orgullosos.

(Ver partes siguientes de esta publicación en los enlaces arriba.)

 Giulietto Chiesa
Parlamentario europeo y periodista. Italia


[1] Pueblo del Valle de Aosta, en Italia (Nota del traductor).

[2] Tras el periodo de tiempo pasado desde que se pronunciaron estas palabras, se han reconstruido muchos otros elementos de la situación, por parte del autor y de otros observadores. Se han publicado numerosos libros, en Italia como en el extranjero. Todos apoyan la interpretación que aquí se avanza.

[3] Conviene señalar que esta noticia a duras penas ha sido difundida por los periódicos italianos, y que ha pasado completamente en silencio por parte de las televisiones italianas públicas y privadas.

[4] La Guerra Infinita (Feltrinelli, Milán) se publicó a comienzos del mes de marzo de 2002.

[5] En realidad, como se ha sabido más tarde, este documento formaba parte de un estudio mucho más amplio que llevaba la firma, junto con la de Rumsfeld, de casi todos los miembros más destacados de la actual administración estadounidense. Se trataba del PNAC (Project for a New American Century), una especie de manifiesto estratégico de los new cons, es decir, los que se definen como los «Nuevos conservadores».



Segunda parte del libro «Guerra y Mentira»

por Giulietto Chiesa*

El asunto del 11 de septiembre tiene el aspecto de haber sido una gran operación política. Los dirigentes de Estados Unidos se esperaban un gran enfrentamiento, pero un poco más tarde. Hubo un imprevisto. Y el imprevisto fue que Estados Unidos se detuvo. Durante veinte años nos han contado que el modelo estadounidense era el mejor, que la locomotora estadounidense dominaba el mundo y que lo único que se podía hacer era imitar a los Estados Unidos, pero las cosas no han sido así...

5. La oposición a la guerra (nuclear) infinita

No estoy intentando vender esperanzas. Quien vende esperanzas en un momento semejante no es más que un charlatán. Esperanza no hay más que una, la de organizarnos para impedir que esta guerra continúe. Es muy difícil, sobre todo porque tenemos poco tiempo en nuestras manos. La guerra contra Irak todavía está humeando. Otras guerras vendrán, y serán guerras asimétricas.

Entre ellas, las habrá grandes y las habrá menores. Después de Irak le tocará el turno a Irán. Los planes de Washington lo exigen así porque los Estados Unidos tienen que eliminar a todo adversario intermedio. A todos, antes de enfrentarse con China. O mejor dicho, para ser más precisos, las guerras intermediarias tendrán como función mantener un estado de tensión permanente que a su vez permitirá a los Estados Unidos desarrollar un terrorífico programa de rearme.

China podría convertirse también en un adversario contra el que no se luche, con la condición de que haya sido puesta previamente en un estado de inferioridad absoluta y, en cualquier caso, en una situación en que le sea imposible rivalizar con la potencia militar estadounidense y de acercarse (incluso de lejos) a unas condiciones de igualdad. De ahí que la destrucción de los obstáculos intermedios tiene por función el preparar estratégicamente el gran enfrentamiento: de este modo podrá ser evitado por la rendición del enemigo potencial. Rendición preventiva. Para ello hay que derribar Irak e Irán.

El señor Bush no bromea cuando habla de los responsables del «eje del mal». Ya los ha designado, enumerado y puesto en su punto de mira. Ahora se trata de encontrar el medio y los pretextos para liquidarlos, ya que resulta evidente que la verdadera razón por la que lo harán será inconfensable.

La nueva doctrina nuclear de los Estados Unidos lo confirma todo al declarar abiertamente que las bombas atómicas serán utilizadas como armas convencionales. Nos lo dijeron en marzo de 2002. La única condición impuesta a su utilización serán evaluaciones de interés político, evidentemente no según un criterio militar. Incluso enfrentándose a países que no poseen tales armas, el uso de las armas atómicas es libre.

Sin embargo existe una posibilidad para evitar esta guerra. En Italia había un movimiento importante de la población que no quería entrar en ella. Y también en Italia el 93% de los diputados, incluidos los de centro-izquierda, votaron a favor de la guerra contra Afganistán, cuando todo lo que veo y siento al recorrer el país es que una gran parte de la población no deseaba esta guerra. Así que podemos sacar la conclusión de que el parlamento italiano no representa de modo alguno a la mitad (una mitad abundante) de la Italia real. Hay un enorme vacío de representación democrática.

Hay que empezar por ahí con el fin de prepararnos para el futuro. Por ejemplo, debemos pedir a todos los futuros candidatos de todas las futuras elecciones, en todos los niveles institucionales (desde el consejo del barrio hasta el parlamento italiano, y hasta el parlamento europeo) que nos digan antes de ir a votar qué tienen la intención de hacer si resultan elegidos, qué compromisos están dispuestos a adoptar para con nosotros. Y ya que la guerra continuará y se multiplicará, tendremos que obligarlos a firmar un pacto con nosotros.

Nunca más a favor de la guerra. A los que no acepten firmar dicho pacto los consideraremos adversarios políticos, sean cuáles sean los partidos o las coaliciones a las que pertenezcan. Y tendrán que firmarlo públicamente, porque tenemos que combatir contra todo aquel que se declare a favor de la guerra, con todas las fuerzas de las que dispongamos y con la mayor intransigencia, por el respeto debido a las reglas democráticas. En fin, dicho de otro modo, tendremos que apoyar a todo aquel que se comprometa a no defender la guerra. Creo que el tema de la guerra y de la paz es fundamental, y a partir de ahí debemos comenzar a construir nuestra defensa. Esta es la primera tarea que se nos impone.

6. El fin del desarme: el papel de China y de Rusia

Como protagonista, China. Los chinos han comenzado a rearmarse y lo hacen a un ritmo bien constante. Construirán centenas de nuevos misiles, centenas de nuevas ojivas nucleares. Disponen de la tecnología necesaria, y dentro de diez años será una tecnología muy depurada: por una parte se desarrollan muy rápidamente, y por otra disponen de los medios necesarios.

Asistimos a una nueva carrera de rearme que inaugura una fase totalmente inédita. Creíamos que aquella época ya había quedado atrás; pues bien, ha vuelto con todas sus fuerzas. Como segundo protagonista, Rusia junto con Putin. He definido la guerra en Afganistán de la siguiente forma: un nuevo gran Yalta asiático del que los estadounidenses han salido vencedores, sin condiciones, arrebatando de la influencia rusa a nada más y nada menos que cinco repúblicas de la antigua Unión Soviética.

La guerra afgana tuvo fin con la conquista estadounidense no tanto de Afganistán como de bases militares en Asia Central, principalmente la nueva base estadounidense de Kirguizistán, cerca de su capital, Bishkek, pero sobre todo no muy lejos de la frontera con China: el observatorio más próximo a Rusia y China que Estados Unidos haya tenido nunca en Asia. Es un cambio geopolítico con consecuencias inimaginables hace todavía un año.

La base de Kirguizistán servirá sobre todo para repara la interferencia electrónica de China y controlar todas las comunicaciones. Se están construyendo dos bases militares más en Uzbekistán y Tayikistán. Parece que hay otra en construcción, muy en secreto, en Turkmenistán. No tengo ninguna certeza sobre ello. He intentado varias veces obtener un visado para Ashgabat, pero nunca me lo han concedido. El secreto es absoluto.

Al mismo tiempo, otras dos antiguas repúblicas soviéticas han pasado a estar bajo el control directo de Estados Unidos: Azerbaiyán, con su parte de explotación del Mar Caspio y su petróleo, y Georgia, donde los estadounidenses han desplegado por primera vez tropas para armar e instruir la armada georgiana, así como vigilar la frontera meridional de Rusia.

Y pensar que todo había empezado como la gran guerra contra el terrorismo. El resultado ha sido una geografía política de Asia Central cambiada por completo. Putin se ha mordido la lengua y, en este sentido, ha sido prudente. No pone el grito en el cielo porque sabe que es inútil. Pero no hay que interpretar el silencio ruso como una aprobación. Hay gruñidos profundes y amenazadores; oírlos será cuestión de tiempo.

En diciembre de 2001 Putin lanzó el submarino Guepardo, el mayor submarino de alta tecnología que nunca hayan diseñado los investigadores militares rusos, es decir, soviéticos. Las mismas fuentes estadounidenses han escrito que se trataba de una novedad. Lo cual quiere decir que este submarino nuclear, armado al menos con 120 misiles de cabeza múltiple, se ha vuelto un arma estratégica extremadamente peligrosa. Desde la caída de la Unión Soviética es la primera vez que Rusia lanza un submarino nuclear, un año después de la tragedia del Kursk.

7. El abandono de los continentes pobres

Respecto a los otros compañeros del mundo, no creo que tengan gran importancia en este momento. El partido se juega en los términos que acabo de indicar. África entera cuenta con mil millones de habitantes y 23 guerras en curso. Como mucho, se producirá un aumento de desembarque de inmigrantes en nuestras costas. Creo que la supersociedad global que se está construyendo no tiene más que formar regiones marginales.

El resto del mundo vivirá a un lado. Nosotros somos consumidores de energía vital, y esos millones, o más bien miles de millones, de personas contra quienes lucharemos por la energía serán, no sólo inútiles, sino también nocivas para la sociedad del futuro. No se necesitará tanta mano de obra y, como consumidores, serán demasiado pobres para suscitar ningún interés.

Ese enorme «resto del mundo»”será abandonado a su suerte, y si los 250 millones de estadounidenses (para ser más precisos, el 10% de esos 250 millones) y los otros 800 millones de “ricos” que pueblan el planeta (los que comen de las migajas, porque los verdaderos ricos y sus familias no son más que unos sesenta millones) quieren seguir consumiendo lo que consumen por ahora, el resto del mundo tendrá que resignarse a consumir mucho menos, o sea, a vegetar o a morir.

Tendrán que morir muchos, y ya están muriéndose. Según los datos de Naciones Unidas se había decidido reducir en un 20%, de ahora a 2015, los millones de personas que pasan hambre. Pero han pasado seis años desde que comenzó ese programa, y el número de personas muertas de hambre aumenta. Hoy día más de ochocientos millones de habitantes comen poco y mal. El resto del mundo ha quedado fuera de juego en esta perspectiva, en este proyecto.

8. El 11 de septiembre y la crisis económica en Estados Unidos

Así pues, todo el asunto del 11 de septiembre tiene el aspecto de haber sido una gran operación política. Los dirigentes de Estados Unidos se esperaban un gran enfrentamiento, pero un poco más tarde. Hubo un imprevisto. Y el imprevisto fue que Estados Unidos se detuvo. Durante veinte años nos han contado que el modelo estadounidense era el mejor, que la locomotora estadounidense dominaba el mundo y que lo único que se podía hacer era imitar a los Estados Unidos; lo mejor es que a pesar de todo continúan repitiéndonoslo.

Pero ha habido un accidente, Estados Unidos se ha detenido. Nos han hecho saber oficialmente en noviembre de 2001 que habían entrado en una fase de recesión, y noviembre, como todo el mundo sabe, viene después de septiembre. Pero a la vez que anunciaban la buena nueva, nos dijeron que ellos (los que gobiernan) lo sabían desde abril de 2001, y abril, como todo el mundo sabe, viene antes de septiembre. Cuando leí esta noticia me dije: ¡Por Dios, ocho meses para dar al mundo la información más importante de los últimos veinte años!

Después me pregunté: aquellos ocho señores que se reunieron en Génova para formar el G8 en junio de 2001, ¿sabían que Estados Unidos se había detenido o no? Si lo sabían, nos han contado a todos un montón de tonterías. Se han reunido sabiendo que Estados Unidos estaba en crisis y no nos lo han dicho. Si por el contrario lo ignoraban, eso quiere decir que estos ocho señores pertenecientes a la cúpula directiva del mundo no poseen las informaciones esenciales sobre la situación mundial. Pero entonces, ¿quién tiene esas informaciones?

Si a eso le añadimos que durante aquellos meses fatales, de abril a noviembre, hemos asistido al hundimiento de una de las mayores multinacionales del sector energético, Enron Corporation, ¿qué debemos pensar? 40.000 personas en la calle de golpe; una empresa arruinada; dos billones de dólares perdidos, arrebatados por un grupo cuyo jefe se llamaba Kenneth Lay, amigo íntimo de George Bush y que también había financiado una gran parte de las campañas electorales de Bush, de Dick Cheney y de Donald Rumsfeld. ¿Todo eso no os parece extraño? Hay demasiadas coincidencias para pensar que el 11 de septiembre haya ocurrido por casualidad.

Tras este acontecimiento hay una gran maniobra. Terminada la época del gran enemigo ruso, la Unión Soviética ha desaparecido hace diez años y la globalización se ha detenido. ¿Quién la ha detenido? ¿Hay un culpable? No puede haber sido Osama Bin Laden, él vino después. Eso quiere decir entonces que Estados Unidos se ha detenido él solo. Estaban persuadidos (y habían persuadido al mundo entero) de que su globalización habría de continuar tal cual por toda la eternidad. La historia había acabado y ya no tendría por qué haber crisis cíclicas. Pero de pronto la máquina estadounidense se detuvo. Es decir, que la historia ha vuelto a la vida según parece. Y siempre se acaba teniendo que rendir cuentas.

Y henos aquí que un elemento de diversión hace su aparición en el momento oportuno. Osama Bin Laden ha sido el deus ex machina que ha permitido desviar la mirada del planeta entero, distraerlo del desastre y poner en marcha al mismo un tiempo un motor que reemplaza al que ya se había estropeado.

Había que crearse un gran enemigo, y este enemigo intermediario ha sido el Islam. Intermediario y transitorio. Se servirán de él mientras siga probándose útil. Al verdadero enemigo ya lo describí más arriba y ya sólo me queda volver a mi punto de partida: el sistema de información funciona para ofrecernos una versión de los hechos que no se corresponde en absoluto con la verdad.

Nos impide, pues, saber qué ocurre, a nosotros y a todos los millones de individuos, de hombres y mujeres que se conmueven y sufren ante las pantallas de sus televisores.


Tercera y última parte del libro «Guerra y Mentira»

por Giulietto Chiesa*

¿Cómo se podía justificar un ataque contra Irak? Había que proporcionar previamente a la opinión pública internacional la prueba de que Saddam Hussein estaba en posesión de armas nucleares y biológicas. Con este fin se fundó en Estados Unidos los que algunos llaman el «gabinete para la información y la desinformación», en inglés el Department of Strategic Influence.

9. El sistema de información y la guerra contra Irak

Por primera vez en la historia de los Estados Unidos es el Pentágono el que se ocupa de esos asuntos. Antes sí que existía una cosa del mismo tipo, pero dependía del Departamento de Estado. Ahora el Department of Strategic Influence está en manos de Donald Rumsfeld [el autor escribió este texto cuando Donald Rumsfeld era todavía Secretario de Defensa de los EEUU, hoy en día ya no lo es más. Ha sido remplazado por Robert Gates].

El Pentágono emite una serie de documentos que el sistema mediático mundial se encarga de difundir inmediatamente. Preparan a sus amigos, como ellos dicen. Les preparan (y nos preparan) diciéndoles muchas cosas de entre las cuales algunas son ciertas, otras son medio ciertas, y otras son completamente falsas.

Así resulta muy difícil discernir entre la información y la desinformación. Y además lo sabemos; la guerra de Vietnam comenzó con una gran invención, la acusación hecha contra los pérfidos vietnamitas de haber atacado navíos estadounidenses en el golfo de Tonkín. Sólo bastantes años después, cuando la guerra ya había acabado, se descubrió que no había existido tal ataque.

Hacer la lista de este tipo de manejos exigiría redactar libros enteros. Lo que nos deja estupefactos es el hecho de que los periodistas (los italianos los primeros) caigan siempre en la trampa y no aprendan la lección.

10. La sociedad civil estadounidense

En lo que respecta a los Estados Unidos, es difícil esperar que los que se oponen a esta guerra se vuelven los suficientemente numerosos como para obligar a la administración a que cambie el rumbo. Las razones son múltiples y profundas, y debemos reflexionar sobre ellas a fondo. Durante décadas nos han presentado a los Estados Unidos como modelo de la democracia occidental. ¿Son así las cosas? ¡No! Estados Unidos ya no es el modelo de la democracia occidental. Hace bastante que dejó de serlo.

Respecto al desarrollo de la sociedad civil Europa está mucho más avanzada que los Estados Unidos. Mirando las cosas detenidamente, incluso el sistema electoral estadounidense (que hemos intentado copiar sin comprender que cada democracia tenía su propia historia) se muestra mucho menos democrática que nuestros escrutinios proporcionales obsoletos. Incluso en los países europeos donde se practica el escrutinio mayoritario, se trata de sistemas electorales mucho mejor articulados y menos embalsamados que el bipartidismo absoluto de los estadounidenses, donde las diferencias entre los dos partidos son ahora tan imperceptibles que elegir entre ellos parece desprovisto de todo sentido.

Es por ello que, con toda lógica, la mayoría ni siquiera va a votar. Por otra parte, el nivel de formación democrática (y de información política) del ciudadano estadounidense es muy bajo.

No se trata de estar en contra o a favor de los Estados Unidos. En cuanto a mí, yo he vivido y he trabajado allí. Conocí una sociedad dinámica y muy diversificada, pero también replegada sobre ella misma, reducida a la adoración del rendimiento y de la carrera profesional y, en la mayoría de los casos, incapaz de defender sus propios derechos. En todo caso, desprovista de organizaciones que le den la posibilidad de defenderse. No es una casualidad que entre todos los países del Occidente avanzado Estados Unidos sea el único que mantenga la pena de muerte.

El hecho es que vivimos en un mundo donde un porcentaje importante de los artículos publicados en las páginas de nuestros periódicos está consagrado a la exaltación de la democracia estadounidense. Reflexiones como las que estoy exponiendo no tendrían lugar en las páginas de un periódico de gran tirada en Italia.

Unos diez días después del 11 de septiembre, cuando el presidente ha transmitido su mensaje al pueblo, en todas las cadenas de televisión, no encontró nada mejor que decir que la siguiente frase: “volved a ir de compras”. Al oírlo sentí un escalofrío. ¿No tenía nada mejor que hacer que una llamada a llenar los centros comerciales, los templos del consumismo? Algunos días después vimos las colas de miles de consumidores estadounidenses que se habían levantado a las seis de la mañana para ir a las rebajas de fin de temporada. Anticipadas para la ocasión. Así que, si lo que nos dicen es verdad, que Estados Unidos nos lleva siempre veinte años de adelanto, lo que nos arriesgamos a ver en ese espejo es a nosotros mismos. Horror.

Talvez también los chinos se reflejan ahí, unidos por la idea de que hay que consumir siempre más, derrochar siempre más, divertirse siempre más y así del mismo modo en una especie de compulsión repetitiva. Y la compulsión es el síntoma de una grave enfermedad mental, por lo que me resulta difícil no tener la impresión de que millones de estadounidenses han llegado a un alto nivel de lobotomización. Mirad sus ciudades, construidas a la medida y en función de los centros comerciales, de los “malls”. Yo no se va de paseo, se va a comprar algo en los centros comerciales, se va a visitar los centros comerciales, como antiguamente se iba a visitar un museo.

Por eso me parece improbable esperar de parte del pueblo estadounidense una respuesta masiva y hostil en contra de la guerra. Quien ha sido tocado por el virus del hiperconsumismo, quien ha recorrido hasta el final el camino para convertirse en un consumidor impenitente, difícilmente concibe ni siquiera la existencia de los problemas que tratamos aquí. Nos lo ve, así de simple. Se ha vuelto ciego. Si bien es verdad (como lo hemos resumido eficazmente) que durante la última década los estadounidenses se han enriquecido mientras dormían, ¿cómo hacerles entender que tienen que despertar? Para ellos es difícil. Para nosotros también, dentro de poco, será difícil.

También se ha dicho precisamente que Estados Unidos era el único país del mundo donde la idea de ahorro ya no existía y donde la gente gasta más de lo que gana. Es una situación completamente anormal. La deuda de los Estados Unidos con el resto del mundo se eleva a unos doce billones de dólares y continúa creciendo a razón de unos mil doscientos o mil quinientos millones de dólares por mes. ¿Cómo se puede imaginar vivir en paz en un mundo donde un país de 250 millones de habitantes consume él solo un tercio de los recursos mundiales, y es el origen de casi un cuarto de la polución del medioambiente, nuestra casa común?

11. La supersociedad global

La verdad es que nos dirigimos hacia una supersociedad global dirigida por una superclase global de súper ricos de todas las partes del mundo, que vivirán en ciudades reservadas, vigiladas por sus policías privados, porque los policías nacionales estarán destinados exclusivamente a controlar a los pobres. Ya asistimos a ese tipo de organización urbanística. En Johannesburgo, Sudáfrica, las ciudades de ricos separadas ya existen. En Moscú hay barrios enteros concebidos expresamente para los ricos, con grandes edificios donde se encuentra de todo (campo de golf, gimnasios, tiendas, paseos, jardines de infancia, colegios) con una entrada única vigilada por agentes privados y muros altísimos. Esa es la imagen del futuro.

Las élites ya no necesitarán vivir en un solo país, vivirán en el mundo entero, en los lugares que les estarán reservados. Ya no será posible mezclar las clases porque será demasiado peligroso para ellas. Así es la idea que se impone en el mundo hoy día. La idea de los que podrán consumir, y consumir en abundancia, mientras que el resto, la aplastante mayoría, permanecerá fuera.

Una parte relacionada con los servicios indispensable tendrá acceso al interior y podrá beneficiarse de los restos de ese bienestar. Los otros podrán palmarla, porque son inútiles. Y la prueba del hecho de que serán inútiles es una tautología: serán inútiles porque habrán perdido el tren que lleva al éxito.

Ahora bien, los que pierdan en esta supersociedad de poderosos ávidos estarán de todo modos equivocados y ningún capitalismo compasivo vendrá a ayudarles. Así que, ¿por qué seguir dejándoles impunemente consumir aire, agua y alimentos?

12. Tras la guerra de Irak

Sabíamos que la sangre iba a correr, mucha sangre: nos la han enseñado, mezclada con el polvo del desierto.
Esta vez han decidido que las cosas funcionarían mejor así. Ya no se trataba de una misión humanitaria, que hubiera exigido mayor delicadeza. Iban a Irak para darles miedo a los réprobos que continúan poblando el mundo. Era necesario, pues, que la sangre se viera y que estuviera seguida de un castigo ejemplar, duro, implacable. Una guerra emblemática, una guerra ejemplar, un aviso.

La segunda guerra de Irak de los Estados Unidos ha tenido su necesaria coreografía imperial, previamente reglada, ejecutada con la mayor precisión.

En realidad ha habido algún que otro error. Las cadenas imperiales debían contentarse con instilar el miedo. No se había previsto ningún otro mensaje. Pero las televisiones árabes han venido a arruinar las fiesta de esta cuarta guerra del Imperio. Por primera vez en la historia de los medio de comunicación globales (Kabul no fue más que un modesto preestreno) han comenzado a contarnos la dolorosa historia de los vencidos.

Peor todavía: no la de los perdedores ingenuos que entretienen en secreto la esperanza de David, poder derrumbar a Goliat de una sola pedrada entre los ojos. No, la televisión árabe nos ha contado la guerra a través de los ojos de los perdedores que saben que no pueden ganar, que no se hacen ilusiones; que son conscientes de que en el peor de los casos morirán como perros, y en el mejor, salvarán sus vidas y las de sus hijos para vivir esclavizados.

Y como las televisiones occidentales no podían mostrar gran cosa, encerrados como estaban en grandes hoteles cuidadosamente alejados del blanco (aunque, como ya se sabe, hubo algún que otro fallo en el punto de mira), el mundo entero ha visto durante las dos primeras semanas la imagen de los perdedores más que la de los vencedores. Eso produjo en efecto fantástico. Era como asistir a Hiroshima del lado de los japoneses. Una primicia absoluta, incluso si bajo este punto de vista el heroísmo de los pilotos de Enola Gay, los que lanzaron la Bomba, resultaba menos evidente.

Sea como fuere, resultaba difícil interpretar aquello que teníamos frente a los ojos como heroísmo. Porque todas aquellas tropas de ataque tan bien equipadas, con todas aquellas máquinas suspendidas alrededor, con todos esos aviones arriba y helicópteros a los lados, tenían el especto de robots programados para llevar una libertad sin manual de instrucciones.

Como personas que hubieran aterrizado en la Luna completamente equipados para la plantación de manzanos y perales. Y lo más extraño era descubrir que, entre las cavidades de la Luna, había gente que permanecía allí y combatían sin ninguna esperanza de vencer. No querían aquellos manzanos ni aquellos perales.

¿Podían haberlo previsto? Ciertamente, George Bush y Tony Blair no lo habían previsto. Mientras redacto estas líneas finales, el escándalo de las falsas armas de destrucción masiva, las mentiras proferidas al mundo entero para declarar la guerra contra Irak, ya han explotado. Ganada en mayo, la guerra iraquí se transforma en derrota en el mes de agosto. La guerra en Afganistán continúa. La idea de una paz palestina concebida como una capitulación de los palestinos ante Sharon se ha desvanecido. Ya pueden tirar el plan trazado a la basura.

En fin, ninguno de los objetivos declarados por George Bush se ha cumplido.
La única, la verdadera, la gran guerra emprendida por Bush ha sido la dirigida contra Europa, dividiéndola (por el rasero de la guerra de Irak) y preparando los diez caballos que se dispone a hacer entrar en sus muros. Europa, Troya mal guardada e ignorante del peligro, albergará muy pronto a diez aqueos más estadounidenses que los Estados Unidos.

En dicho contexto, el papel que podría haber representado para frenar la estrategia imperial estadounidense se vuelve extremadamente problemático. Francia y Alemania aguantan, pero Bush tiene de su lado a Blair, a Berlusconi y a Aznar, quienes en la “vieja Europa” representan el papel de aliados de los “diez aqueos de la nueva Europa”. París y Berlín están aplastados.

Respecto a la Rusia de Putin, ha perdido antes de empezar. Ejemplo sin precedentes en la historia de un país que se suicida, ha contemplado su propia caída sin hacer un gesto. Aceptó la anulación del tratado ABM en 1972 aportando su firma bajo la declaración formal del fin de su poder, incluso parcial. La ampliación de la OTAN hacia el Este tan sólo le ha hecho hacer una mueca. Finalmente, ha perdido Asia Central sin rechistar.

Dentro de quince años Rusia se verá reducida a menos de cien millones de habitantes y flotará sobre sus fronteras actuales como las ropas de un gigante sobre las espaldas de un enano. Quizá tenga todavía misiles, pero ya no le servirán (como sucede actualmente) para ejercer una presión política sobre el Emperador, utensilios herrumbrosos e inútiles.

De China todavía tendremos que hablar durante un largo tiempo. El destino y la historia le han dado un papel preponderante en el siglo que acaba de comenzar. China es el verdadero problema de Washington. A China se consagró el PNAC, el “Proyecto para el Nuevo Siglo Americano”. Los dirigentes chinos lo saben a ciencia cierta. Y ninguna recuperación, o recuperación parcial, de Wall Street permitirá desembarazarse del problema, que se opondrá al axioma de Bush, que también fue el de Reagan: el nivel de vida estadounidense no es negociable.

Muy pronto ya no habrá sitio en el planeta para dos Américas, una blanca y otra amarilla. Incluso la hipótesis de englobar a China (como subalterna de los Estados Unidos, claro está) en el mercado occidental no resolvería el problema.

Este es el verdadero perfil de la situación a la que deberán enfrentarse nuestra generación y la siguiente: hemos llegado al término. El desarrollo que el mundo ha conocido no se puede prolongar indefinidamente. Hay que elegir (si se acepta el cuadro que acabo de trazar) quién puede sobrevivir en un mundo que ya está bastante «en apuros».

Los que piensan, incluso en el seno de la izquierda, en términos de «recuperación» del viejo desarrollo (en el terreno económico) y que creen poder moderar las pretensiones del Imperio (en el terreno político) están condenados al estupor y la impotencia ante los trágicos acontecimientos que se anuncian.

 Giulietto Chiesa
Parlamentario europeo y periodista. Italia




... ¿Qué podría enseñarte?