Saturday, October 20, 2007

Il leader di Forza Italia: «Contrario a un governo tecnico»

«Prodi cadrà a novembre»

La profezia di Berlusconi: «Un senatore della Margherita passerà con noi. Contrario a un governo tecnico»

ROMA - «Prodi cadrà la seconda settimana di novembre». Ossia sulla Finanziaria. È la profezia che Silvio Berlusconi ha dato durante una festa alla quale ha partecipato il capogruppo della Lega Roberto Maroni. «Con noi - ha sostenuto l'ex premier - passerà un senatore campano della Margherita di un certo peso, in tutti i sensi...». E poi ha aggiunto: «Sono tantissimi al Senato ad essere a piè di lista, certi che non saranno più rieletti». Il leader azzurro ha ribadito di essere contrario ad un governo tecnico e di non voler assolutamente una legge elettorale «che consenta a Veltroni di correre da solo».

Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi (Emblema)

LA PROFEZIA - «Dopo la caduta di Prodi non c'è nessun governo tecnico o istituzionale. Sono sicuro anche per quanto riguarda la condotta dei miei alleati. Se facessero altrimenti non perderebbero solo la faccia ma anche i loro partiti» ha spiegato ancora Berlusconi. Che poi non ha escluso di stipulare un nuovo contratto con gli italiani, analogo a quello del 2001: «Perché no, farò un nuovo contratto, magari chiamandolo in un altro modo. Anche da Vespa, se mi paga...».

FINANZIARIA - Il leader di Forza Italia si è poi soffermato sulla Finanziaria negando che il ricorso per l'esercizio provvisorio, in caso di caduta del governo, possa danneggiare l'economia italiana. «Ma quale problema, l'esercizio provvisorio è bellissimo. Non è più come una volta, si risparmiano un sacco di soldi».


20 ottobre 2007




DIETRO LE QUINTE

Prodi e i timori per il governo
«È scattato il complottone»

«Ogni giorno sarà buono per affondarci, corteo pericoloso»

DAL NOSTRO INVIATO
LISBONA - Non aspetterà l’assalto finale nel chiuso della trincea di Palazzo Chigi. Finché avrà numeri, munizioni e ossigeno politico, giocherà le sue carte in campo aperto, cercando di anticipare e sparigliare le mosse di chi vorrebbe prepensionarlo anzitempo, consapevole che le probabilità di sconfitta sono alte, ma deciso a vendere cara la pelle: «Se andrà male, dovrà essere chiaro a tutti di chi è la responsabilità».

E’ iniziato il conto alla rovescia, quello che nelle intenzioni di tanti dovrebbe culminare nella scritta «the end». Fine del Prodi 2. Il Professore ha avuto tutta l’estate per prepararsi e ora che le truppe avversarie si sono messe in movimento, entrando in pressing sui senatori di confine dell’Unione (dai diniani a Fisichella, passando per Bordon), l’ha annunciato di persona ai suoi: «Il complottone è partito, da qui a fine novembre ogni giorno sarà buono per tentare di metterci sotto. È dura, ma possiamo giocarcela: proviamoci». È una partita alla luce del sole, una di quelle sfide dove i duellanti si guardano negli occhi prima di spararsi addosso. C’è Prodi con i suoi 25 ministri, un esercito di sottosegretari, un margine risicatissimo al Senato e la granitica convinzione di «aver fatto un buon lavoro e di potere fare anche meglio, se solo me ne daranno il tempo». C’è Berlusconi che ha bisogno di andare al voto in primavera, altrimenti rischia di vedersi sfarinare tra le mani ciò che resta della Casa delle Libertà. Ci sono settori del mondo industriale, adeguatamente supportati, che non ne possono più di un governo considerato ostaggio della sinistra radicale e vagheggiano formule centriste, anche se ancora indefinite. C’è la sinistra radicale, che in realtà Prodi se lo terrebbe anche, ma che, tra rincorse al sindacato e voglie di piazza, non perde occasione per tramutarsi nell’ennesimo elemento destabilizzante. E poi Mastella che si sente messo in croce. E Di Pietro che fa le fusa al popolo dei «grillini». Insomma, decisamente troppo, anche per un mediatore della tenacia del Professore. Che infatti, abbandonata la sindrome da assedio con la quale ha convissuto in questi 17 mesi, sta velocemente cambiando strategia. Mettendo ognuno davanti alle proprie responsabilità. Ha cominciato giovedì mattina con quelli della sinistra radicale che oggi sfileranno a Roma sul Welfare: «Guardate - ha detto loro con tono basso - che la vostra manifestazione rischia seriamente di indebolire un governo che in tanti vogliono mandare a casa...».

Attenzione, allora, a tarare bene i toni della manifestazione, guai se prevalessero gli accenti antigovernativi, non regaliamo benzina ai nostri avversari: «Gli accordi sono migliorabili, ma se io dovessi cadere, vi ritrovereste con un pugno di mosche in mano». Quindi, introducendo l’altro corno della sua strategia, quella che punta a frenare un’eventuale emorragia di senatori, ha aggiunto: «Ricordatevi che una maggioranza, anche se risicata, noi ce l’abbiamo a Palazzo Madama e sarebbe davvero inspiegabile se ci mutilassimo da soli...». Da parte sua, il Professore ce la sta mettendo tutta per soffocare sul nascere le tentazioni di fuga di molti senatori, corteggiati quotidianamente da Berlusconi. Un monitoraggio quotidiano quello del premier: li ascolta, li riceve, li rassicura. Ma non è detto che basti. Ed è qui che entra in gioco Walter Veltroni. Nel colloquio dell’altra sera a Palazzo Chigi, prima di partire per Lisbona, il premier ha chiesto al neosegretario del Pd di spendersi anche lui sul fronte del Senato. «E Walter - raccontano attorno al Professore - ha dato ampie assicurazioni, dicendo che avrebbe iniziato subito i contatti». A conferma, come ama ripetere spesso Prodi, che «un buon ciclista sa guidare anche in tandem». Che poi il boom delle primarie abbia ridisegnato la leadership del centrosinistra, o comunque di parte di essa, e che qualche scintilla la coabitazione la produrrà, lo dicono i numeri e la logica politica. «Ma certo non vengono da Veltroni i pericoli per il governo. Anzi, in questo momento io e Walter andiamo nella stessa direzione, i nostri obiettivi coincidono» non si stanca di dire il Professore, quasi incredulo di poter contare su un fronte amico.

Francesco Alberti
19 ottobre 2007(modificato il: 20 ottobre 2007)



... Civita.

Friday, October 19, 2007

El Reino de las Falacias.

Las armas del tramposo son malas; trama intrigas

Inicuas para enredar a los simples con palabras

Mentirosas, y para hablar en juicio contra el pobre.

Isaías 31:7 (Casiodoro de Reina, 1569).

Seguimos en una semana de bostezo. Los titulares se los ha GANADO a pulso “The Urban Cowboy”, ¿o más bien cowbuey?, mmm. Anyway, tan poco ha producido la ORDEÑA que prefiero platicar de mis cuadernos que me retroalimentan más. Por cierto, ¿alguien me pude explicar porqué las ex first lady se mantiene en low-profile?

Hace una semana les contaba de mis cuatas la Yaya y la Corina. Como ellas no se conocían mutuamente, me culparon de no haberlas presentado antes. Así que, de puro castigo, me obligaron a invitarles una bebidas esa noche, y pues como ya saben que el decir NO se me dificulta ahí me tienen en el bar con ellas y otro cuate economista que invito la Yaya. Finalmente, la Corina parece que le ha sugerido una sabia estrategia a la Yaya para que obtenga el grado dándoles “el avión” a los supervisores, sin que lo noten, je, je.

No entiendo cómo pero cuando uno se está desahogando es fácil que los temas ronden la economía y la política. No recuerdo muy bien, pero ellas llegaron al comentario de que TODO estaba mejor en el sexenio del “Chupacabras” ¡Utales! Les pedí ejemplos y me devuelven quesque no había tanto desempleo, que las inversiones en infraestructura estaban a tope, como la autopista del Sol, etc., etc., etc. ¿La Autopista del Sol? ¿La carretera más cara kilómetro por kilómetro del mundo jamás construida?

¿El sexenio del salto al primer mundo? El TLC, el programa Solidaridad, los índices bursátiles en las pantallas televisivas,… el primer sexenio realmente neoliberal. Recuerdo muy bien todo ello, porque como todo buen provinciano, y más un poco pegado al norte, ignoraba un montón de cosas. Siendo sincero hubo realmente un momento en que casi caigo en el garlito del cuento de desarrollo económico importado por los pupilos de los Chicago Boys. Según los medios de comunicación afines al sistema, era inminente nuestra entrada a las grandes ligas económicas. Hasta que, afortunadamente, después de terminar mi especialización, ¡oh, ironías de la vida!, estaba desempleado buscando trabajo y vivía con mis papás en la frontera Tamaulipeca, y como siempre he leído casi todo lo que cae en mis manos, leía El BRAVO, y tenía columnas del Miguel Angel Granados Chapa, el Carlos F. Ramírez (cuando era combativo y menos sesgado, o al menos lo parecía), que no eran publicadas en el Sol de Tampico, El Heraldo y los otros. ‘Tonz, pues me comenzaron a abrir los ojos. Lo que no pasaba con otros de mis paisas.

No se me olvida un día que varios de nosotros fuimos a que nos aplicaran un examen de conocimientos para un trabajo en una de las Maquiladoras y, mientras esperábamos, un compa me trataba de convencer que le entrara al AMWAY. Ya saben, que ello te iba a sacar perico-PERRO en poco tiempo. Ya no más ser el hijo del Boticario del pueblo, me soñaba manejando un Jaguar Blanco (bueno en realidad prefiero el Ferrari Testarossa, no mejor un MERCEDES convertible tipo Los Harts investigadores). Desde entonces, comencé a notar que algo no cuadraba realmente. Todos esos cuentitos se topaban con la cruda realidad, que nos seguía mostrando las miseria de los desposeídos de siempre, sólo que ahora ciertos clasemedieros habían sido alcanzados. Aún eran enGATUzados también, pero se negaban a aceptarlo, quizás lampareados con las promesas del paraíso económico.

Al año siguiente, perdí la oportunidad de mi vida, desperdicié la posibilidad de trabajar para una de las grandes PETROLERAS transnacionales. Por lo que de regalo de consolación me fui a estudiar una maestría en la UNAM. Ya saben, existimos ese tipo de personas que nunca realmente aterrizamos, y andamos buscando el menor pretexto para vivir eternamente estudiando a costa de los impuestos de ustedes. Pues bien, como siempre me ha gustado andar “diggeando” por todos lados. Comencé a notar que en el DF y sus alrededores hay un montón de información. Siendo de pueblo chico, tuve que darme varios frentazos antes de conocer las verdaderas fuentes, tenía varios referentes pero eran vagos. Sabía que existía El PROCESO, y mi papá y carnales a veces mentaban los agachados de Rius, pero no me los tocó leer cuando niño. Así que, por mis manos comenzaron a pasar El Día, El Heraldo, El Excelsior, Ovaciones, y todos esos. Hasta que llegaron El Universal (cuando era relativamente confiable), y luego La Jornada, y por supuesto el Proceso pero ahora en todo su potencial. Era como si alguien me hubiera quitado una venda de los OJOS. Un NUEVO MUNDO me apabullaba. Eran los años posteriores al alzamiento ZAPATISTA cuando habían caído varios mitos del EVANGELIO del Libre Mercado. ¿No lo han notado? ¿Verdad que es fácil construir una falacia? Porque aunque todo lo que he dicho es NETA, es sólo mi caso personal, y eso en las Ciencias DURAS, tiene poca o nula validez.

Regresemos pues a mis cuatas. Olímpicamente les valió quesadilla lo que les decía, ellas seguían enfrascadas disertando sobre los beneficios de los años de ese otro calvito y chaparrito (mordidota de lengua). Así que, tuve que conformarme con platicarle al Estuardo de mis últimas lecturas, y ser TESTIGO de que poco a poco se van cayendo los postulados de la globalización y el neoliberalismo. La economía es un desastre, y los fanáticos a favor de desestatizar totalmente la economía están descobijados, ya que el mismo FRIEDMAN antes de fallecer intentó expiar algunas de sus culpas, esas mismas que llevaron a la tumba a millones de seres humanos. Más, lo que es verdaderamente preocupante es ese estado de negación y autosuficiencia sin dejo alguno de remordimiento como el de Robert McNamara, o más recientemente el de Alan Greenspan, que en debate con Naomi Klein en Democracy Now!, el primero sigue afirmando, sin ruborizarse, que el Capitalismo es el mejor sistema económico que haya existido jamás. ¡Vaya desfachatez de tipo!

No hace mucho tiempo vino un cuate que también estudia economía (¡Cómo abundan los escaladores!), y me intentó aplicar un “cocowash”, quesque el neoliberalismo era un buen sistema pero hay que darle tiempo. Quiso hacer una analogía con las enfermedades estomacales (por cierto, no vuelvo a comer HOT DOGS de carrito, mi pobre panza me la ha estado refrescando toda la mañana), y que debemos aguantar, que estamos en la etapa del vómito, pero que estamos a punto de “lograrlo”, que aguantemos como LOS MACHOS. ¡Chales! Yo más bien creo que estamos en Terapia Intensiva y si no conseguimos al mejor “internista” del mundo pero de YA, YA, YA, hay que ir preparando LOS SANTOS OLEOS.

Al final, como no las pude convencer. La Corina abogaba porque debería el gobierno cortar el financiamiento en el rubro de humanidades (por ejemplo los estudios de Desarrollo por acá) y concentrarse en el área de Ciencias, una afirmación con la que no coincido mucho. En lo que si estamos de acuerdo es que, hablemos del país que queramos, que tenga cierto grado de desarrollo o que este en los umbrales de de dar el gran SALTO, el sentimiento de pertenencia a un proyecto nacional es vital, algo que creo no se puede encontrar entre los neoliberales, sea de la latitud que sea. No es muy difícil percibir que este nacionalismo ha estado ausente en por lo menos los últimos cuatro mandatarios en la Republica Mexicana. El anterior es, en realidad, un caso perdido, creo que solo quedan unos cuantos (que los hay), que todavía defienden a este estadista de talla internacional.

¿Tenemos ciertamente recursos retóricos para tumbar cada uno de los asertos de las teorías del libre mercado? ¡Por supuesto! Todavía hace no más de tres años, sentía esa frustración de no tener pruebas para desenmascarar al neoliberalismo, cuyo seudónimo es “Capitalismo Salvaje”. Y me exasperaba cuando platicaba con la semita, y le decía: ya sabemos que el sistema está mal, pero ¿dónde está el “arma homicida”, amiga? Y luego, como caído del cielo llegan los libros de John Perkins y Joel Bakan, entre otros, and there you go. ¡Sólo un ciego podría negar lo evidente! Y, sin embargo, los hay, y hasta gobiernan países al sur del Río Bravo.

¿Porqué no gobierna MI TIERRA alguién como la Naty? Ya ven que les comentaba que me invitaron a una comida en la que hubo Chilorio en Norwich, sí lo hubo, aunque sea imposible que me lo crean. Anyway, la Naty nos platicaba que en una de las primeras sesiones introductorias a lo que iba a ser nuestro CALVARIO, i.e., el Doctorado, quién estaba a cargo de guiar la plática TRAMPOSAMENTE les afirmaba: “sean sinceros, ustedes están aquí porque aspiran a tener un mejor sueldo cuando acaben los estudios”. La Naty indignada por la sola sugerencia, levanta la mano y afirma: “No, yo estoy aquí para APRENDER, a eso he venido”. ¡Moles! No sólo eso, esta cuata tiene muy claro que, entre muchas otras razones, los países desarrollados como la Gran Bretaña, viven de vender GLORIAS pasadas, que nosotros nos tragamos peladitas. Por ejemplo, siendo simplistas los británicos realmente no producen mucho, en el sentido antiguo de esta palabra en los ámbitos económicos, pero tienen el sartén por el mango, en cuanto a los servicios financieros.

Finalmente, no os confundáis, también existen analistas latinoamericanos que nos han alertado sobre estas historias amañadas sobre el desarrollo a través del cristal capitalista, pero nos hemos negado a escuchar sus razonamientos. Pero eso, lo dejo para otro post, tengo bastante material para platicarles sobre ello. Además no quiero atosigarlos, tengo que llevarlos poco a poco, alimentarlos con PAPILLA pues, sino se me EMPANCHAN, perdón EMPACHAN.

Allá abajo, el presidente “electo” sigue pensando que ignoramos que la parejita posee el SANTO GRIAL del fraude de 2006, y que ocultándolo permanecerá en el poder. ¡Iluso! TODOS SABEMOS que hicieron trampa y que, a pesar de ello, sus capataces (ya ven que ahora todo tiene que llevar referencias bucólicas) decidieron imponerlo. Por esa razón lo vamos a tirar. NOMAS POR ESO.

Mientras tanto, espero que sigan con el boicot económico, que es una de las maneras más eficaces de acelerar el objetivo. Los otros movimientos políticos abajo en las bases ‘tán CHIDOS, y claro que ayudan, aplaudo sus esfuerzos, no me mal interpreten; pero tenemos que asfixiar la economía para que suelten LA PRESA. ¡Buena suerte, comp@s! Por cierto, según mi predicción, ustedes que llevan la cuenta, ¿Cuántos días le restan al holograma que pretende gobernar desde la silla de montar, perdón, la silla presidencial?

M@rcapataz,

Norwich, R(anchos) U(nidos);

19/10/07

... Agencia Central de KontraESTUPIDEX (ACKX).

P.D.San_Cristobal. "...TODO lo que me pidas te lo daré, hasta LA MITAD de mi reino..." - San MARCOS 6:23 (Casiodoro de Reina, 1569).

P.D.FELINA. "...Well, I wish I was a catfish/Swimin’ in the deep blue sea/I`d have all you women/Fishin` after me/Fishin` after me/Fishin` after me..." - CATfish Blues (B.B. KING).

P.D.VICENTICA. "...If you like to TALK for hours / just GO AHEAD, now..." - Two PRINCESS (Spin DOCTORS).

P.D.HILDEBRANDA. "...the NUMBERS lead a DANCE..." - Shape of my HEART (IFE, perdón... STING)

Fe de er-Marthas, perdón, fe de er-Chentes, chin, ya pues, fe de er-RATAS:

En el post anterior se escribió PREMIO NOBEL DE LITERATURA con un hipervínculo a:

http://www.jornada.unam.mx/2007/10/12/index.php?section=politica&article=012n1pol

chales, me traicionó el subconsciente. Debió antes haber llevado a:

http://www.jornada.unam.mx/2007/10/12/index.php?section=cultura&article=a04n1cul

Se aceptan mentadas, pero que sean en buen plan.

Thursday, October 18, 2007

Myanmar: de U Thant a Ban Ki Moon

José Steinsleger/ I

Una de las opciones frente a la repentina crisis política de Myanmar (antes Birmania) consiste en seguir el consejo de Napoleón: si quieres entender los problemas de un país, consulta el mapa. Y la otra, repetir a coro titulares clichés como los de El País de Madrid: “La bota militar ahoga Myanmar… los monjes defienden el derecho de los birmanos a una vida digna” (30/9/07).

La geografía, es verdad, poco nos dirá de los olvidados pueblos de Myanmar y sus graves padecimientos económicos y sociales. Pero como al imperio sólo le interesa el factor geopolítico, habrá que tomar con pinzas la llamada “revolución azafrán” de los monjes budistas, o las declaraciones de la líder de oposición Aung Sang Suu Kyi, formateada políticamente en Londres y Washington, según el guión “democrático” que en su momento aprendieron Corazón Aquino, de Filipinas, y Benazir Bhutto, de Pakistán.

Por su lado, los chinos reclaman “un nuevo concepto de seguridad” en la región Asia-Pacífico. De hecho, en los primeros días del mes pasado, el presidente Hu Jintao realizó una visita de Estado a Australia, donde participó en el Foro de Cooperación Económica Asia-Pacífico (APEC). China reclama para el área confianza mutua, igualdad, diálogo y cooperación. Principios que representan lo opuesto de Estados Unidos, que por esos días iniciaba en el golfo de Bengala unos ejercicios navales de gran envergadura con India, Japón, Australia y el Estado simbólico de Singapur.

El Comando del Pentágono en la cuenca del Pacífico supervisa las fuerzas y operaciones militares, ejercicios y entrenamientos en un área de 170 millones de kilómetros cuadrados, que incluye 43 países y territorios, y es responsable de la defensa de Japón y Corea del Sur, mediante tratados firmados en 1950.

Recabando la opinión de expertos y diplomáticos, la agencia de noticias Prensa Latina observa que las actividades militares del Pentágono están adquiriendo una influencia cada vez más preocupante e inquietante en Asia. Simulacros conjuntos con Singapur, Bangladesh y Tailandia y, por primera vez en 44 años, comandos especiales de India y Estados Unidos que realizaron maniobras en una gigantesca base en la ciudad de Agra, cercana al Taj Mahal, al norte de Nueva Delhi.

La “cooperación multilateral” con los países asiáticos alineados con Washington, predispuestos a sumarse a cualquier aventura militar del Imperio, tiene movilizados a más de 100 mil soldados yanquis en centenares de complejos terrestres, aéreos y marítimos en varios estados, Corea del Sur y Japón en particular. A ello obedece el súbito desgarramiento de vestiduras del presidente George W. Bush por “la libertad y la democracia” en Myanmar. Que no incluye, obviamente, sensibilidad alguna ante la no menos corrupta dictadura militar de Tailandia, la represión del gobierno de India en Cachemira, la más leve crítica a su socio el general Pervez Musharraf de Pakistán, a los títeres represivos que gobiernan Bangladesh y al régimen autocrático de Sri Lanka.

Todo el problema con Myanmar nace de su no alineamiento con Washington, de sus importantes yacimientos de gas natural y de reservas petroleras, estimadas en 3 mil millones de barriles, que para China son como el oxígeno al pulmón. En el primer semestre del año, las inversiones de Pekín en Myanmar ascendieron a mil 100 millones de dólares, 40 por ciento más que en el mismo periodo en 2006.

Birmania y Corea del Sur: asimétricas sincronías de la llamada guerra fría, y los cuentos inconclusos del imperio yanqui en el tercer mundo. La ONU ha tomado cartas en la crisis de Myanmar. Pero hace medio siglo una crisis de esta índole hubiese contado con el aporte creativo de estadistas como el birmano U Thant (1909-74), hombre comprometido con la causa anticolonial de los pueblos y la paz.

U Thant ejerció el cargo de secretario de la primera cumbre asiática-africana que en Bandung (Indonesia) dio origen al Movimiento de Países no Alineados (1955). Y luego, ajustado a los grandes principios pensados al término de la Segunda Guerra Mundial, desempeñó el cargo de secretario general de la ONU con singular y consciente destreza diplomática (1961-71). Pero hoy, desafortunadamente, el máximo foro de la política mundial está administrado por el coreano Ban Ki Moon, peón de la Casa Negra y totalmente opuesto al espíritu de U Thant.

En ese contexto, la eventual caída del represivo y anacrónico gobierno birmano daría a Estados Unidos un mirador territorial mucho más interesante que el de Corea del Sur, situada frente a China oriental, aunque separada por las encrespadas aguas del mar Amarillo.

Myanmar comparte con China una dilatada y accesible frontera de 2 mil 185 kilómetros, fuera de los 2 mil kilómetros de costas que posee en el océano Indico. De paso, un conflicto prolongado en la ex colonia británica, donde Rudyard Kipling compuso su célebre poema Mandalay y un policía imperial llamado George Orwell describió los estragos de la dominación colonial en el país de las pagodas, les aguaría a los chinos la magna celebración de los Juegos Olímpicos en 2008.






José Steinsleger/ II

Myanmar: budismo, nacionalismo y marxismo

En lugar de exportar a sus colonias los contenidos emancipadores de sus respectivas revoluciones sociales, la “civilización” europea fue portadora de esclavitud, racismo, explotación, matanzas sistemáticas, discordias regionales, desintegración socioeconómica y ofensas sostenidas a culturas milenarias que de antemano calificaba de “inferiores”.

En Birmania (hoy Myanmar) el imperio británico requirió de 65 años y cuatro guerras para anexar sus reinos al virreinato de India. La primera guerra la perdió en Asman (noreste de India), a manos del general birmano Maha Bandula (1821). En la segunda, los ingleses atacaron por mar y ocuparon Arakan (1826, actual capital del estado de Rakhine, a orillas del mar de Amman); el puerto de Yangoon (antes Rangún) fue tomado en 1853 y la ciudad real de Mandalay cayó en1886.

La opresión colonial engendró lo que sus metrópolis inventaron y luego no supieron encauzar: el patriotismo exacerbado y el nacionalismo extremo, magmas ideológicos de mil cabezas que en Indochina sólo carecieron de fuerza en el reino de Siam (hoy Tailandia), relativamente independiente gracias a su posición de amortiguador entre las posesiones británicas (India, Birmania) y francesas (Laos, Camboya y Vietnam).

En 1897 surgieron múltiples asociaciones budistas que despertaron el patriotismo primero y el nacionalismo después. En 1906 se fundó la Asociación de la Juventud Budista de Birmania. Más cercano a la filosofía que a la religión, el budismo y sus ideales de compasión, igualdad y tolerancia, se constituyó en el único lazo que unía al pueblo con su pasado, marcando profundamente la sensibilidad patriótica entre los sectores avanzados de la elite nativa.

La resistencia empezó con la unidad de monjes budistas y los thugi, príncipes reales que oficiaban de jefes de administración provincial. Al inicio de la Primera Guerra Nundial nació la Asociación Socialdemócrata de las Indias Orientales, que difundió los primeros textos de marxismo, y a partir de 1917 los vientos de la revolución rusa hicieron que los primeros partidos comunistas de Asia sudoriental auscultasen los nexos teóricos entre budismo y marxismo.

En 1920, jóvenes budistas militantes del Consejo General de Asociaciones Birmanas organizaron en la Universidad de Rangún la primera gran huelga de estudiantes. Al año siguiente, tras 166 días en huelga de hambre, el monje U Wisara murió en la cárcel, donde los ingleses lo retenían por “actividades sediciosas contra Londres”. Otra rebelión budista fue liderada por U Ottama, inspirado en Gandhi, y la del monje Saya San contra los usureros indios, cuando la crisis capitalista mundial derrumbó los precios del arroz, principal producto de exportación de Birmania (1930-31).

La represión que siguió tuvo como blanco a los dockers indios (portuarios) de Rangún. Cerca de un millar de birmanos fueron asesinados por las tropas coloniales. La protesta anticolonial no cesó y finalmente, en 1937, Gran Bretaña concedió a la colonia el estatus de “territorio autónomo”. Sin embargo, la decisión de mantener a Birmania bajo jurisdicción de India dividió a la población y allanó el camino de la independencia.

En 1940, un grupo de dirigentes del movimiento thakin (maestro), conocidos como “los 30 camaradas”, organizaron en Bangkok (Tailandia), el Ejército de Independencia de Birmania (EIB), que en la Segunda Guerra Mundial apoyó la ocupación de Japón, en lucha contra las fuerzas angloindias y sus aliados, los nacionalistas chinos de Chiang Kai Shek (1942). En 1943, el ejército japonés entró en Rangún y concedió la independencia nominal a Birmania. Pero Tokio impuso a un gobierno títere.

Aun Sang (padre de la actual líder de oposición, Aun Sang Suu Kyi), U Saw, y Than Tu, dirigentes del EIB, volvieron a la lucha y organizaron la Liga Antifascista por la Libertad del Pueblo (AFPFL, por sus siglas en inglés), la cual agrupó a los diversos partidos políticos para obtener la independencia del país y establecer un estado socialista, pasando entonces a coordinar sus acciones con los ejércitos aliados hasta que Japón se retiró definitivamente de Birmania en marzo de 1945.

Parecía que esta vez la situación de la colonia volvía a fojas cero. No obstante, la AFPFL agrupaba a 200 mil miembros y 10 partidos que iban desde la extrema izquierda a la extrema derecha. En 1946, el partido comunista se dividió: la mayoría liderada por Than Tu (Bandera Blanca), partidaria de la alianza provisional con los nacionalistas, y Bandera Roja, que rechazaba toda colaboración.

La derecha abandonó el movimiento y en el centro sólo quedaron los socialistas de Aun San, quien marchó a Londres para firmar con el premier Clement Atlee el primer acuerdo que reconocía la independencia de Birmania (enero de 1947).

Los resultados de la gestión dieron a la Liga una victoria contundente en las elecciones para la Asamblea constituyente de abril. Pero el 19 de julio, Aung San fue asesinado por matones a sueldo del derechista U Saw. El nuevo jefe de gobierno, U Un detuvo, juzgó y ahorcó a U Saw. Birmania proclamó la independencia el 4 de enero de 1948.




José Steinsleger/ III y última

Myanmar: astrología y “Estado nacional”

Myanmar forjó su conciencia patriótica en la lucha contra el colonialismo inglés. Sin embargo, la carencia de un pensamiento articulador como el de Mao en China, Gandhi o Nehru en India u Ho Chi Minh en Vietnam frustró la cohesión del nuevo Estado nacional.

Los constituyentes birmanos diseñaron un precario Estado federal en el que participaron liberales de perfil occidental, marxistas en versión oriental, y fuerzas político-religiosas muy influyentes que fijaron la fecha de independencia en consulta con los astros.

Con una población cercana a 60 millones (75 por ciento rural), Myanmar figura entre los países más paupérrimos del mundo. De origen birmano (69 por ciento), la mayoría de la población profesa la fe budista (80). Siguen los shan y los mon (budistas, 8.5 y 2.4), karen (cristianos, 6.2), rakhine (islámicos, 4.5) y los chin y kachín (animistas, 2.2 y 1.4 por ciento). Oficialmente reconocidos existen 135 grupos étnicos que hablan 108 lenguas.

La escuela budista therevada (Birmania, Camboya, Laos), la más antigua que se conoce, se caracteriza por un mayor apego a la letra y difiere en matices del budismo mahayana (Tibet, China, Vietnam). El therevada se mezcla con las creencias locales de tres grupos budistas: apotropic, kammatic y nibbanic. No todos los monjes (más de medio millón) combaten a la despótica junta militar y algunos la apoyan.

Desde su independencia, el país cambió cuatro veces de nombre: Unión de Birmania (1948), Unión Socialista de la República de Birmania (1974), Unión de Birmania (1988) y Unión de Myanmar (1989). Lo único que falló fue la unión.

Los gobiernos de Myanmar jamás pudieron doblegar las insurrecciones políticas y étnicas en su territorio. De ahí el régimen militar que desde 1962 trata de conjurar, por medios violentos, a las fuerzas separatistas y periféricas que amenazan la integridad del Estado controlado por la etnia birmana, en detrimento de las demás.

En 1950 aparecieron los primeros movimientos armados en la estratégica provincia de Shan, limítrofe con China, Tailandia y Laos. En alianza con los karen, la CIA y Gran Bretaña, el gobierno de Rangún autorizó al Kuomintang (nacionalistas en desbandada tras el triunfo de la revolución china) con el fin de combatir a la Organización Voluntarios del Pueblo (comunista). Tal es el origen del famoso Triángulo Dorado, región que hasta la fecha ocupa el segundo lugar mundial en producción de opio y heroína, luego de Afganistán.

En el decenio de 1950 el “gran líder” político birmano fue U Nu (1907-95, “U” en birmano equivale a “señor”). Primer presidente del país asiático, U Nu pasó del antifascismo al anticomunismo pueril y adquirió fama mundial traduciendo al birmano Cómo ganar amigos, de Dale Carnegie. Aunque, posiblemente, algo tradujo mal, pues en 1958 fue derrocado por un golpe militar de impronta socialista.

La coalición gobernante se dividió y el ejército intervino creando un gobierno provisional de 18 meses. La elección de 1960 volvió a dar un triunfo notorio a U Nu, quien decía que Birmania tenía “16 mil problemas”. Entonces, decretó el problema 16 mil uno: el budismo, religión de Estado. Temiendo que el ejército (compuesto de miembros de todas las minorías) perdiese unidad y disciplina, el general Ne Win (1910-2002) acabó con su gobierno (1962).

La “vía birmana al socialismo” de Ne Win acabó en desastre. A fines del decenio de 1970 el régimen impulsó la liberalización parcial de la economía y, atendiendo a su consejo de astrólogos, arrió las banderas de izquierda “para combatir a la derecha”. En el decenio de 1980, el gobierno de Ne Win emitió billetes de 45 (4+5=9) y 90 kyats, dando por sentado que el 9 le traería “buena suerte” a la economía.

En 1978, más de 200 mil birmanos musulmanes del estado de Arakan cruzaron la frontera de Bangladesh. Y en 1992 cerca de 125 mil (rohingyas) huyeron al país vecino, donde el influyente partido Jamal Islami reclama al gobierno que ayude a sus hermanos en lucha por un “Arakan musulmán independiente”.

A más del narcotráfico, los recursos de la dictadura militar provienen de inversiones de India y China, de las petroleras Total (francesa) y de otra tailandesa, y la Chevron estadunidense. Estas compañías controlan las reservas de gas natural de Myanmar en altamar, enviadas a Tailandia a través de un gasoducto construido con mano de obra esclava de birmanos.

En 2005, el gobierno militar decidió que la capital ya no sería Yanghoon (antes Rangún), sino Pyinmana, situada al norte y en el centro del país, atrincherándose contra una eventual invasión estadunidense, y en mejor posición geográfica para combatir las tendencias separatistas.

Actualmente Myanmar soporta tres frentes guerrilleros, a más de la rebelión social causada por el drástico paquete de medidas económicas de septiembre pasado: los rebeldes kachín (norte, procedentes del sureste del Tibet); los nagas (noroccidente, que reclaman territorios de Assman, ocupados por India); y al oriente la narcoguerrilla cristiana de los karen, apoyada por la CIA y Taiwán.





http://en.wikipedia.org/wiki/Joan_Quigley



Joan Quigley, of San Francisco, is a famous astrologer best known for her astrological advice to the Reagan White House in the 1980s. Joan Quigley was born in Kansas City Missouri on April 10, 1927.

She was called into service by First Lady Nancy Reagan in 1981 after John Hinckley's attempted assassination of the president, and stayed on as the White House astrologer in secret until being outed in 1988 by ousted former chief of staff Donald Regan. Regan later said of her service, "I revealed that the president's schedule and therefore his life and the most important business of the American nation was largely under the control of the first lady's astrologer."



Early relationship

Quigley first met Nancy Reagan in the 1970s on the "The Merv Griffin Show." She reportedly provided astrological advice during Reagan's bid for the Republican nomination in 1976. Their association grew significantly larger in the 1980 election between candidate Ronald Reagan and then president, Jimmy Carter. Nancy brought Quigley onto the Reagan campaign team. Quigley became very trusted by the Reagans for her accuracy. She claims to have set the time, with detailed reasoning, of Reagan's successful debate with Carter in October, which is credited by some with affecting the outcome of the election a week later.

Quigley was not the first astrologer the Reagans had consulted. Ronald and Nancy Reagan had a long history of involvement with astrologers and psychics. During the 1950's and 1960's, Ron and Nancy enlisted the services of Hollywood astrologer Carroll Righter, and later Jeane Dixon. In his 1965 autobiography, "Where's the Rest of Me?", Reagan said that he and Righter were "good friends," and that "every morning Nancy and I turn to see what he has to say about people of our respective birth signs." (It was on Righter's advice that Reagan postponed his inauguration as governor of California for 9 minutes, until the auspicious moment of 12:10 a.m.)

[edit] Protecting the President's Life

After the election, Quigley was no longer needed and her relationship with the First Lady ended. But, the following year, Hinckley shot Reagan. Nancy grew concerned and asked Quigley if she could have foreseen, and possibly prevented, the assassination attempt. Quigley answered affirmatively, that had she been looking, she would have known. From that moment on, Quigley became Nancy's most trusted confidant. Nancy even had special private phone lines installed in the White House, and at Camp David, expressly for talking to Quigley. Explaining why she turned to Quigley, Nancy later wrote, "Very few people can understand what it's like to have your husband shot at and almost die, and then have him exposed all the time to enormous crowds, tens of thousands of people, any one of whom might be a lunatic with a gun... I was doing everything I could think of to protect my husband and keep him alive."

Quigley concluded that Reagan's charts were very similar to assassinated President Abraham Lincoln's astrological signs, with both being born in February, and both being elected in a year that ends in zero. Every detail about the timing of the White House schedule that could be manipulated was under the direct influence of the First Lady and her astrologer for the next seven years.

Quigley later wrote a book about her experiences, titled "What Does Joan Say?", which is a phrase Reagan used often during his presidency. Quigley writes, "Not since the days of the Roman emperors- and never in the history of the United States Presidency- has an astrologer played such a significant role in the nation's affairs of State." Whether this is true or not, no other White House ever used an astrologer to the extent the Reagans did. Other First Families known to rely on astrologers include the Lincolns, and the Hardings. Likewise, President Richard Nixon relied on Jeane Dixon during certain situations.

Astrology was used widely by other political leaders, such as Senator Everett Dirksen, a Republican from Illinois. Dirksen's son-in-law is former Senator Howard Baker, a Republican from Tennessee. Baker replaced Donald Regan as chief of staff after Regan lost a feud with the First Lady, prompting him to out Quigley in his book, "For The Record."

Indeed, Quigley worked extremely hard (even using a computer analyst) to calculate to the exact fraction of a second, the president's schedule. This included the most mundane activities, such as the president's daily itinerary, including the arrival and departure time of Air Force One.

[edit] Presidential Scheduling

Quigley fixed the times for the public signing of the Intermediate-range Nuclear Forces Treaty, or INF Treaty, and Reagan's debates with Walter Mondale. She set the time of the nomination of Anthony Kennedy to the Supreme Court, instructing the White House staff to use a stopwatch to make the moment perfect.

Chief of Staff Donald Regan elaborated on what it was like having to make adjustments to the President's schedule based on the zodiac:

"Mrs. Reagan passed along her prognostications to me after conferring with [Quigley] on the telephone--she had become such a factor in my work, and in the highest affairs of the nation, that at one point I kept a color-coded calendar on my desk (numerals highlighted in green ink for "good" days, red for "bad" days, yellow for "iffy" days) as an aid to remembering when it was propitious to move the President of the United States from one place to another, or schedule him to speak in public, or commence negotiations with a foreign power." --Donald Regan, "For the Record: From Wall Street to Washington"

"According to a list provided by Mrs. Reagan to [scheduling aide] Bill Henkel, [Quigley] had made the following prohibitions based on her reading of the President's horoscope:

Late Dec thru March bad; Jan 16 - 23 very bad; Jan 20 nothing outside WH--possible attempt; Feb 20 - 26 be careful; March 7 - 14 bad period; March 10 - 14 no outside activity!; March 16 very bad; March 21 no; March 27 no; March 12 - 19 no trips exposure; March 19 - 25 no public exposure; April 3 careful; April 11 careful; April 17 careful; April 21 - 28 stay home

Obviously this list of dangerous or forbidden dates left very little latitude for scheduling." --Donald Regan, "For the Record: From Wall Street to Washington"

"The frustration of dealing with a situation in which the schedule of the President of the United States was determined by occult prognostications was very great--far greater than any other I had known in nearly forty-five years of working life." --Donald Regan, "For the Record: From Wall Street to Washington"

In 1989, in an NBC News story, reporter Andrea Mitchell said:

"Intelligence officials say the CIA went nuts when it learned the First Lady was discussing US-Soviet relations with an outsider [Joan Quigley] on non-secure lines. Some White House officials were also horrified that presidential security was being breached. And, according to former White House officials and Quigley, the astrologer was involved in everything. She picked the departure time for the Reykjavik Summit, the optimum time for signing an arms control treaty, the best time for the trip to Moscow. And, when Mrs. Reagan was upset about a controversial trip to Germany in 1985, Quigley plotted every takeoff and landing. Her scheduling for that visit to the Bitburg cemetery was so complicated that former White House aide Michael Deaver sought permission from Mrs. Reagan to talk to the astrologer directly.

The President knew what was going on. Deaver told NBC News that if Mrs. Reagan wanted a schedule change, she would say, 'I told Ronnie and that's what Joan recommends....' Former aides say Ronald Reagan was a man who read his horoscope and the 'funnies' before the rest of the paper. They say he wasn't only indulging his wife--that the former president also believed in astrology."

[edit] The End of the Reagan Years

After being outed, she was dismissed as the White House astrologer by Nancy Reagan, who told Quigley to "lie" and never tell anyone anything. A major controversy ensued. Reagan's conservative Christian supporters were most appalled, but jokes and humor were the staple of the era. Nancy said, "Nobody was hurt by it- except, possibly, me."

Quigley has been quick to note that she considers astrology a science, related to astronomy, and that it is more precise now because of the discovery of modern planets. Quigley believes that astrology is not related to psychic abilities, nor has she ever claimed to be psychic. She says astrology has a long history, that the New Testament magi were astrologers, and astrology was even used by Biblical prophets in the Old Testament.

Since leaving the Reagans, Quigley has written a successful book on the subject, and has been working hard to promote astrology in the media and on the Internet.

[edit] References

  • Quigley, Joan. "What Does Joan Say?: My Seven Years as White House Astrologer to Nancy and Ronald Reagan". Carol Publishing Group. New York, NY; 1990.
  • Regan, Donald. "For the Record: From Wall Street to Washington". Harcourt. New York; 1988.


CHRONICLE
By SUSAN HELLER ANDERSON
Published: February 15, 1990


Star Wars (NY TIMES)


White House Confirms Reagans Follow Astrology, Up to a Point


Ronald Reagan, Astrology Buff





Vicente Fox insults Telemundo reporter

19:11 H | Topics: Media - Mexico - TV

Ex-president of Mexico Vicente Fox thought he was going to have a low-key interview when he arrived at the studios of Telemundo 52 in Los Angeles, but he got more than he bargained for when the reporter asked him some uncomfortable questions about a current scandal regarding properties owned by his wife, Marta Sahagun. In town to promote his English-language autobiography, Fox sat town with reporter Rubén Luengas and it didn't take long for sparks to fly and for the ex-president to eventually explode:




Mexico City's La Jornada has the transcript here, but if you're interested in cutting to the chase, Fox calls Luengas a battery of names, among them "liar" and "vulgar".



... SOTA voce.

Wednesday, October 17, 2007

Astillero

Julio Hernández López
Fax: 5605-2099 • juliohdz@jornada.com.mxhttp://www.juliohernandez.com.mx

Chente se enoja

Sintomática pataleta en Telemundo

Panistas “rateros y narcos”: Moreira

“Por el momento”, Norberto se salva



Chente se amarró al cuello el lazo de la ira y se tumbó solito en una entrevista con Rubén Luengas para Telemundo, Canal 52, de Los Ángeles. Intolerante, se enojó porque no fue tratado con la superficialidad complaciente que le otorgaron otros espacios televisivos de Estados Unidos y, ante la petición de que respondiera a señalamientos (documentados en libros y reportajes) sobre propiedades y enriquecimientos bajo sospecha, perdió toda compostura y acusó a su anfitrión de mentir y calumniar, exigiéndole que se retractara en público (incluso, sugerente de boicots publicitarios, advirtió del “mal uso” que Luengas estaría haciendo de un espacio, lo que debería preocupar a los anunciantes).

Las descomposturas mentales del presidente de Foxilandia se dispararon frente a cámaras luego de que el entrevistador mencionó al padrastro de los Bribiesca el notabilísimo crecimiento económico de Venezuela (11 trimestres seguidos con un promedio de 12.6 por ciento) frente a los pobres resultados del último año del foxiato. El Manco de Boca del Río ironizó diciendo que al premio Nobel de Economía 2001, Joseph Stiglitz, lo habrían comprado con un barril de petróleo para que elogiara los logros económicos (“muy impresionantes en los últimos años”) del régimen de Hugo Chávez. El economista estadunidense, que fue asesor de Bill Clinton en la Casa Blanca, destacó la buena aplicación, para beneficio colectivo, de la bonanza de los precios petroleros.

El punto de quiebre llegó, sin embargo, al hablar de propiedades de la señora Marta y su vocero Vicente (¡ah, el amor, el amor!). El periodista Luengas apenas pudo aludir a datos del Registro Público de la Propiedad cuando ya estaba encima el primer gringo llegado a presidente de México. “Me sentí intimidado por Fox”, dijo el entrevistador de Telemundo, a quien el ex gobernador de Guanajuato acusaba con el índice por delante antes de levantarse de su asiento y retirarse. La significativa rabieta del hombre con rancho y lago adjunto estaba programada para ser exhibida ayer, íntegra, a las once de la noche, en el programa de Rubén Luengas y estaría disponible a partir de hoy en www.telemundo52.com en la sección denominada “En contexto”.

Muy enfadada también estaba ayer la cúpula panista en general, y en especial la de Coahuila, porque por primera vez un gobernador ha dicho con todas sus letras que miembros de la elite blanquiazul son rateros y narcos. Humberto Moreira es un priísta de mescolanzas raras que lo mismo hace equipo con Elba Esther Gordillo (él mismo es profesor, y uno de sus hermanos es líder de una de las secciones sindicales de la entidad) que sostiene relaciones con La Habana (por ejemplo, la cirugía de cataratas denominada Operación Milagro, y la apertura de centros de atención oftalmológica, con equipo donado por la isla, que han sido denominados José Martí, Comandante Fidel Castro y República de Cuba).

Pero, además, Humberto Moreira, que ha visto la manera cínica y desbordada en que ciertos personajes políticos del panismo estatal han ido tomando el control del narcotráfico, sobre todo en la región de la Comarca Lagunera, donde un senador, Guillermo Anaya, ha hecho muestra pública de gran relación con el actual presidente formal de la República, al grado de que éste fue padrino de bautizo de un hijo y, políticamente, convirtió a Anaya en otra forma de Padrino. Panistas que desplazaron a sangre y fuego al cacique históricamente encargado de esos negocios oscuros, el priísta Carlos Herrera, baleado y virtualmente exiliado. Panistas que combinan poder económico reciente y oscuro con ambiciones políticas que les permitan dar cumplimiento a los compromisos subterráneos que les ayudaron a hacerse de cargos y representaciones. Acicateado por el panismo que lo criticó durante la lectura de un informe de gobierno, Moreira ha respondido acusando a los panistas de narcos y rateros.

Pero no todo fue negativo para la derecha política: por lo pronto, no encontró “evidencias suficientes” el juez de California que atiende las denuncias contra Norberto Rivera por presunta protección a un cura pederasta. No es una exoneración plena, y ese “por el momento” y esa insuficiencia pueden cambiar, pero en lo inmediato la decisión del juez constituye un golpe a quienes largamente han tratado de probar ante las instituciones judiciales estadunidenses que el cardenal mexicano ayudó a un sacerdote abusador de niños a que se refugiara en el país vecino y continuara violando pequeños. A Rivera le llega este tanque de oxígeno cuando ha decidido enfrentar a los grupos de feligreses que le reprochan partidismo y presuntos vínculos con pederastas.

El comité nacional espinista-foxista, por su parte, emitió ayer la convocatoria para elegir de manera adelantada a un nuevo presidente nacional. El forcejeo con el calderonismo, que pretende imponer a Germán Martínez como sustituto, será 8 y 9 de diciembre próximos. El proceso interno tiene, sin embargo, una semilla envenenada pues, en una maniobra jurídica que podría ser impugnada ante el tribunal electoral federal, los miembros del comité nacional blanquiazul renunciarán el 8 del último mes del año, ante los consejeros nacionales reunidos. Con esas renuncias se dará paso a la elección de un dirigente que no será interino (para cubrir el lapso que va de esa renuncia a marzo de 2008, cuando oficialmente terminaría el encargo para el que formalmente fueron elegidos los miembros de ese comité) sino definitivo para un nuevo periodo de tres años. Espino pretende dejar a Martínez con el sambenito de una elección manoseada y oscura.

Y, mientras mañana se exhibe (18 horas, en el auditorio del Congreso de Michoacán) el cortometraje La hija de María, de Sergio García Michel, el cineasta underground más representativo de México, que había sido censurado en el Festival de Cine de Morelia por mojigaterías que han sido condenadas por diputados locales, ¡hasta mañana, con el gobierno de España que prepara la visita del vicepresidente mexicano, Juan Carlos Mouriño, nacido en Madrid, para 2008!





... it AIN'T silly.


Bajo la Lupa

Alfredo Jalife-Rahme

Visita de Putin a Teherán: conferencia del mar Caspio


Desde Joseph Stalin, hace 64 años, un mandatario ruso no visitaba Irán, su vecino en el mar Caspio, con la tercera reserva mundial de petróleo. El zar geoenergético global Vladimir Putin acudió a la capital iraní, en visita histórica, a la segunda conferencia pentapartita sobre el mar Caspio con el fin de delimitar sus nuevas fronteras tras la disolución de la URSS en 1991.

Dieciséis años más tarde, la decadente Rusia de Gorbachov (ya no se diga de Yeltsin), quien ahora se exhibe lastimosamente haciendo publicidad a Louis Vuitton y American Express, ha sido sublimada por un estadista de visión y gloria: Vlady Putin, el genio geopolítico de inicios del tercer milenio, quien ha utilizado exitosamente la “carta petrolera” para resucitar a Rusia de los cementerios siberianos.

Vlady Putin brinda así un espaldarazo internacional a Mahmud Ahmadinejad super star, otro genio de la geopolítica medioriental.

El rotativo libanés An-Nahar (16/10/07) resume el resultado de la conferencia pentapartita del mar Caspio, integrada por Rusia, Irán, Kazajistán, Azerbaiyán y Turkmenistán: “Irán y Rusia advierten contra el uso del Caspio para la acción militar”, en alusión a los planes militares para “usar a Azerbaiyán como plataforma de ataque de los bombarderos de EU contra Irán”, como desean Dick Cheney y sus aliados neoconservadores straussianos, hoy agazapados en el centro neoliberal racista American Enterprise Institute.

Aunque no se hayan puesto de acuerdo sobre los nuevos límites ribereños, el punto de acuerdo entre Rusia e Irán sobre la desmilitarización del mar Caspio constituye un importante paso, además del apoyo pentapartita al programa atómico civil y pacífico de Irán, conforme a los cánones del Tratado de No Proliferación Nuclear, lo cual apunta los senderos que tomarán las negociaciones bilaterales entre Rusia e Irán.

Putin fustigó los oleoductos patrocinados por EU, Gran Bretaña e Israel (sin citarlos) para balcanizar el mar Caspio y sus alrededores: otro punto de convergencia geoestratégica de Moscú y Teherán.

Más allá de los nulos logros para nuevas delimitaciones ribereñas, Arzerbaiyán, la aliada de EU e Israel, ya no jugó tanto su papel asignado de cuña y fue obligada a abrir sus cartas y hasta colaborar en dos temas cruciales: la desmilitarización del Caspio y el apuntalamiento del proyecto nuclear pacífico de Irán. No es poca cosa.

La visita histórica cobra dimensión excepcional cuando la dupla EU-Israel ha colocado sobre la cabeza de la teocracia chiíta la espada de Damocles del fantasma de una guerra nuclear, propalada delirantemente por el siniestro Comité del Peligro Presente (CPD, por sus siglas en inglés), adscrito al complejo militar industrial israelí-estadunidense –el grupo de Joe Lieberman, Norman Podhoretz, José María Aznar López, Enrique Krauze Kleinbort, etcétera— que reclama una “tercera guerra mundial” contra el “islamo-fascismo iraní”.

Tanto molestó la visita que un día antes el centro de pensamiento texano-israelí Stratfor (15/10/07), que ha intensificado su socavamiento desinformativo, exultaba su “cancelación” debido a las amenazas de un atentado terrorista, insinuado por la agencia rusa Interfax (14/10/07).

En “La cumbre del mar Caspio y el crucero histórico del siglo XXI”, prefacio de su relevante ensayo El gran juego llega al Mediterráneo: gas, petróleo, guerra y geopolítica (Global Research, 14/10/07), Mahdi Darius Nazemroaya aduce, quizá un poco en forma ditirámbica, que el “resultado de la segunda cumbre del mar Caspio decidirá la naturaleza de las relaciones ruso-iraníes y el destino de Eurasia. Lo que suceda en Teherán pudiera decidir el curso del resto del siglo. La humanidad se encuentra ante un crucero histórico”.

Mahdi Darius Nazemroaya ubica estupendamente el contexto cronológico y geopolítico previo, el peregrinaje nada exitoso, pocos días antes, de Condi Rice y Bob Gates a Moscú, y luego la visita de Vlady Putin a la canciller alemana Angela Merkel, en Wiesbaden. Le faltó el peregrinaje previo a Moscú del presidente galo Nicolas Sarkozy, lo que marca las frenéticas tratativas diplomáticas para seducir a Vlady en vísperas de su reunión trascendental con Ahmadinejad super star.

Mientras Turquía se prepara a invadir el norte de Irak en proceso de balcanización para frenar el irredentismo kurdo, Nazemroaya excava las maniobras militares, diplomáticas y energéticas en vísperas de la segunda conferencia del mar Caspio de parte de la OTAN, pero más preponderantemente del Grupo de Shanghai (OSC, por sus siglas en inglés) y su alianza con tres organizaciones filorrusas que acaban de congregarse en Tayikistán: la Comunidad de Estados Independientes, la Comunidad Económica Euroasiática y el Tratado de Seguridad Colectiva (CSTO, por sus siglas en inglés).

Al menos que posea información privilegiada, quizá Nazemroaya, radicado en Ottawa, sobredimensiona en su análisis la todavía inexistente “alianza euroasiática entre Rusia, China e Irán”, que, a su juicio, intentaron fracturar Condi Rice y Bob Gates durante su encuentro ríspido con Vlady Putin en Moscú. De ser el caso, el zar ruso apuntalaría entonces el proyecto de enriquecimiento de uranio iraní en lugar de frenarlo como exigen EU e Israel.

Rajab Safarov, director del Centro de Estudios Iraníes de la Universidad de Durham (es decir, de cosmogonía anglocéntrica), juzga que Putin propondrá a Ahmadinejad un trueque inescapable (Reuters, 14/10/07): cese del enriquecimiento de uranio por el líquido combustible para la planta nuclear del puerto sureño Bushehr con fines civiles construida por Rusia a un costo de mil millones de dólares y adonde han suspendido la entrega por “falta de pagos” (los iraníes acusan a Putin de sucumbir a las presiones “occidentales”).

Puede ser que la jugada crucial de Vlady Putin esté muy vista como pretenden elucidar los analistas “anglosajones”, muy linealmente maniqueos, pero tampoco habría que subestimar la capacidad multidimensional y no lineal de Ahmadinejad super star a quien le encanta sacarse conejos bajo la manga un minuto para la medianoche. La carnada del “trueque Bushehr” parecería estar superada a estas alturas cuando el partido gobernante de India dio marcha atrás a un acuerdo similar con EU.

El zar geoenergético global debe ser cuidadoso en no alienar la “carta iraní” que luego le puede provocar severas cefaleas. La teocracia iraní, después de haber escuchado atentamente las sugerencias de Putin, jugará hasta sus últimas consecuencias, a finales de diciembre, la carta inalienable de la legalidad de la ONU y el Tratado de No Proliferación de la AIEA. Sería un error de nuestros amigos iraníes que se desviaran de este carril legal que les abona una inmensa credibilidad internacional frente a la bélica “propaganda negra” del unilateralismo nuclear del régimen torturador bushiano en plena putrefacción financiera.

Es el momento estelar de Vlady Putin, y también del egipcio Muhamed El Baradei, el competente director de la AIEA, dirección que comparte con la física de la UNAM, Ana María Cetto, de México, el país de don Alfonso García Robles, nuestro único Premio Nobel de la Paz. Pero quien tiene la palabra final es Ahmadinejad super star. Vamos a ver qué conejo saca de debajo de la manga en sus negociaciones con Putin.



... oigo PAZOS.




arturo rodríguez garcía
* Denuncia presiones para no investigar a los senadores Guillermo Anaya y Ernesto Saro

Saltillo, Coah., 15 de octubre (apro).- El informe de gobierno de Humberto Moreira se convirtió en un foro de denuncia, en donde el mandatario arremetió contra sus opositores del blanquiazul, de quienes acusó se visten de santones pero “están hasta las chanclas en el narcotráfico”.

Una breve entrevista, antes de presentar su informe, bastó para que el gobernador de extracción priista anticipara que “se acabó el silencio” y calificara a los panistas de “rateros, canguros, corrientes y pandilleros”.

“Este día renace una posición distinta: vamos a ir con el mismo trabajo y con la misma vocación, pero este día vamos a desenmascarar a los rateros panistas, así tengan la protección divina de los jerarcas panistas.

“Este día vamos a exigir que aquellos que están involucrados con el narco y que son panistas sean investigados y, de ser necesario, encarcelados”, advirtió.

Las declaraciones surgieron luego de que diputados panistas en el Congreso local advirtieron que abandonarían el recinto legislativo por un desacuerdo en el horario y el formato del segundo Informe. El Ejecutivo estatal había propuso que el evento comenzara a las ocho de la mañana, por lo que los legisladores deberían sesionar en la madrugada.

Moreira Valdés respondió entonces que tenía expedientes guardados de los legisladores panistas, los que exhibiría si abandonaban la sesión solemne del Informe.

Pero los panistas cumplieron.

Declarado el quórum legal, los diputados del blanquiazul protestaron y abandonaron las curules.

Momentos antes de entrar al recinto, Moreira Valdés explicó que esa protesta tenía como origen su negativa a negociar la aprobación de cuentas públicas de exalcaldes panistas que están siendo objeto de investigación en la Contaduría Mayor de Hacienda del Congreso.

“Lo plantearon de una manera burda y corriente, como son: ‘No le hacemos ruido en su Informe a cambio de que nos ayuden con unas cosillas’, como las tranzas del Sistema Municipal de Agua en Torreón; como las tranzas en Frontera; como el cobro del predial, y como lo que viene en la revista Proceso: de los vínculos de Guillermo Anaya con el narcotráfico. Es decir, que no investiguemos y no hagamos ruido”.

Moreira insistió:

“Me pidieron que interviniera, cuando no es ni mi facultad ni mi deseo, para que quienes fueron alcaldes panistas no se les haga nada porque hicieron actos indebidos”. De entre el gentío, ‘Chabela’, una popular dirigente del PRI, gritó: “Son ratas”.

Y Moreira completó:

--No señora, no son ratas: son canguros. No vamos a ayudarle a ninguno de estos ladrones.

Precisó que la petición específica era sobre “un indulto” para el exalcalde de Ciudad Frontera y actual secretario general del PAN en la entidad, Mario Alberto Dávila, a quien se le investiga por el desfalco de casi 8 millones de pesos.

El gobernador de Coahuila expuso que le solicitaron se comprometiera a abandonar la investigación de tráfico de tierras en el municipio de Ramos Arizpe, durante el periodo de Ernesto Saro, actual senador, a quien se acusa de especular con bienes raíces con uso indebido de información privilegiada.

Además, se retiraran las pesquisas sobre una serie de supuestas corruptelas en el ayuntamiento panista de Torreón, que encabezó el actual senador Guillermo Anaya Llamas, a quien Moreira dirigió gran parte de su alocución.

Sostuvo que el hecho de que Guillermo Anaya sea “compadre” del presidente Felipe Calderón echa abajo la supuesta lucha federal contra el narco, tal y como lo reseñó Proceso 1614.

Moreira Valdés se refería a la publicación de un vínculo del senador Guillermo Anaya con el narco, pues su hermana, estuvo casada con Adolfo Villarreal Barragán, hermano de Sergio “El Grande”, a quienes la PGR considera operadores en jefe del cártel del Pacífico en la Comarca Lagunera.

Según diversas versiones, “El Grande” habría estado en el bautizo de la hija de Guillermo Anaya, a la que apadrinó Calderón Hinojosa, aunque el senador lo ha negado reiteradamente.

Moreira Valdés dijo que al igual que Vicente Fox y Marta Sahagún se enriquecieron a su paso por la Presidencia, así mismo lo han hecho los panistas en Coahuila, por lo que cuestionó a sus opositores en el Congreso:

“¿Qué quieren?, ¿que me cruce de brazos cuando vemos que saquean los municipios; que me convierta en esa clase de políticos que llegan a acuerdos en lo oscurito y salvan a ladrones que se están llevando el dinero del pueblo? ¿Que diga sí a la gasolina?

“No voy a decir que sí porque era más fácil reducir 10% del gasto corriente del gobierno federal y hubiéramos obtenido más recursos.

“¿Qué quieren que haga? ¿Que me cruce de brazos cuando vienen y se mueren aquí nuestros mineros de Pasta de Conchos, y luego salen con distractores pegándole a la empresa, cuando el verdadero culpable es el exdelegado del Trabajo (Pedro Camarillo Adame) protegido de Jorge Zermeño? Ese es el asesino.

“¿Qué quieren que haga?, que me cruce de brazos cuando hay hermanos nuestros que no tienen lo indispensable para vivir con dignidad? Eso no lo voy a hacer”, dijo en respuesta a los señalamientos de “populista” que le han hecho.

Ya para cerrar y presentar su Informe, los reporteros le preguntaron si no lo habían amenazado, a lo que Moreira respondió que se necesitaban muchos pantalones para amenazarlo, aunque responsabilizó a Felipe Calderón, a Guillermo Anaya, al líder nacional panista Manuel Espino y al propio blanquiazul de lo que pudiera ocurrirle a él y a su familia.






josé gil olmos México, D.F., 16 de octubre (apro).- Este lunes el gobernador de Coahuila, Humberto Moreira, lanzó una acusación grave: la vinculación de miembros importantes del PAN con el narcotráfico. Aunque se han querido negar o esconder, este es un hecho con una larga historia de nombres desde hace más de una década.

Las versiones de una estrecha vinculación entre panistas distinguidos y jefes de algunos de los carteles más importantes no son nuevas. Cuando Francisco Barrio llegó al gobierno de Chihuahua surgieron acusaciones de que negociaba con Amado Carrillo Fuentes, “El Señor de los Cielos”; y a Ernesto Rufo, como gobernador de Baja California, se le vinculó con los hermanos Arellano Félix. Cuando era gobernador de Morelos, a Sergio Estrada Cajigal se le descubrió una relación con Nadia Esparragoza, la hija de Juan José Esparragoza, “El Azul”, uno de los jefes del cartel de Juárez.

Otro de los casos es el del actual embajador de México en Canadá, el sinaloense Emilio Goicoechea, quien fuera secretario particular de Vicente Fox en Los Pinos y quien en 1992 quiso ser gobernador de su estado. La revista Proceso (1590) publicó un amplio reportaje en el que se exponían fotos de Goicochea con Genaro Caro Quintero, hermano de Rafael Caro Quintero, tomadas cuando hacía campaña por la gubernatura de Sinaloa.

En 12 fotografías se comprobaba la versión que por años había transcurrido: que Goicoechea había tenido un encuentro con Genaro Caro y que su campaña había tenido apoyo del narcotráfico. Pero ese no fue el único escándalo en el que estuvo involucrado el panista sinaloense. Cuando era secretario particular de Fox, contrató a Nahum Acosta como director de giras de la Presidencia, quien fue detenido el 3 de febrero de este año bajo la acusación de haber filtrado la agenda del Ejecutivo Federal a Joaquín Guzmán Loera, “El Chapo”.

El texto escrito por el reportero Alejandro Gutiérrez sobre las fotos de Goicoechea y el hermano de Caro Quintero no tuvo ninguna respuesta del panista y tampoco del gobierno de Felipe Calderón, a quien representa en Canadá. Y el que calla otorga.

Un caso más es el de Saúl Rubio, quien era candidato a diputado, y Wilfrido Veliz Figueroa, aspirante a presidente municipal de Culiacán. Ambos asistieron al sepelio del narcotraficante Miguel Ángel Beltrán, “El Ceja Güera”. Aunque en noviembre del 2004 recibieron el apoyo del dirigente del PAN, Luis Felipe Bravo Mena, al final tuvieron que ser sustituidos, pues fueron denunciados penalmente por el PRI.

El caso más reciente y que atañe directamente a Felipe Calderón es el que denunció el profesor Moreira en su pasado Informe de Gobierno: “Queremos que se investigue a quienes tienen vínculos con el narcotráfico y son panistas (…) No he recibido amenazas, pero ahorita que destapo que están vinculados con el narcotráfico como lo dijo la revista Proceso, ellos van a estar atacando, además son unos rateros y lo podemos demostrar”, declaró el gobernador de Coahuila y responsabilizó de su seguridad al propio presidente de la República y al senador del PAN, Guillermo Anaya.

En su número 1583 de marzo de este año Proceso publicó un reportaje sobre la ampliación del narcotráfico en la comarca lagunera (Durango y Coahuila) y la presunta vinculación del capo Sergio Villarreal, “El Grande”, con el senador del PAN, Guillermo Anaya y con la exalcadesa Rosario Castro Lozano, hermana del exasesor jurídico de la Presidencia de la República, Juan de Dios Castro Lozano, actual funcionaria de la Secretaría de Gobernación.

La acusación de Moreira vincula directamente a Felipe Calderón, si tomamos en cuenta que, como se publicó en Proceso, el 24 de agosto del 2006, asistió a una fiesta para apadrinar a la hija del senador Guillermo Anaya Llamas y en el ágape estaba nada más y nada menos que Sergio Villareal “El Grande”, quien es investigado por la PGR por presuntos vínculos con el narcotráfico y es hermano de Adolfo Hernán Villarreal, esposo de Elsa María, hermana del legislador del PAN.

Es imposible que para entonces el Estado Mayor Presidencial, que cuidaba a Felipe Calderón, no estuviera al tanto de la relación de la familia de Guillermo Anaya con el hermano del narcotraficante. El compadrazgo ahí concretado tendría graves repercusiones que hoy ya vemos.

El gobernador de Coahuila ha pedido que se investigue la relación de los dos panistas con “El Grande”, sobre todo porque, según lo publicado en Proceso (número 1583) Rosario Castro Lozano es señalada como protectora del narcotraficante.

“Fuentes del más alto nivel del gobierno de Durango la señalan como protectora de Sergio Villarreal, sucesor de “El Chaky”. Aseguran que durante un operativo que encabezó en Lerdo, Durango, el comandante de la Décima Región Militar, Roberto Miranda, para detener al narcotraficante, Rosario le pidió que no entrara”.

Moreira, luego de entregar su segundo Informe lanzó el reto: “Los panistas tienen miedo a las investigaciones por su parentesco con el narcotráfico y el alto mando tiene compadrazgos con los narcotraficantes, luego dicen que lleguemos a acuerdos en lo oscurito, que les perdonemos los 7 millones y medio (de pesos) que se robó uno de esos panistas, pero no vamos a perdonarles nada, vamos a desenmascarar a aquellos que tienen doble moral; no vamos a negociar nada, ellos pueden decir que son amigos de los pobres, y como dijo Lucerito: ‘¿Y qué?’.”

Esas palabras suenan a reto. El secretario de Gobernación, Francisco Ramírez Acuña, ya pidió pruebas e inició así la estrategia del gobierno calderonista de aislar el problema, dejarlo que se muera solo en los medios y “no hacer olas”. Pero las pruebas las hay, están en la PGR y este asunto seguramente crecerá con el tiempo y en algún momento reventará en Los Pinos.